I Sentieri della Libertà. Valli Borbera e Spinti #7

Sentiero n.7 – Da Carrega e Capanne di Carrega a Costa Salata e Dovanelli

Come si arriva:

  • Autostrada A7 Milano/Genova uscita Vignole Borbera – strada provinciale della Val Borbera sino alle Capanne di Carrega;
  • Dalla Liguria: strada provinciale Torriglia – Casa del Romano sino al passo verso le Capanne di Carrega;
  • Da Piacenza: strada statale della Val Trebbia – diramazione per Fascia – Casa del Romano.

Caratteristiche dell’itinerario:

  • Partenza dal passo al confine fra le regioni Liguria e Piemonte (a 300 metri dalle Capanne di Carrega);
  • Dislivello in salita: 300 m. circa;
  • Tempo di percorrenza:
    • sino al Monte Antola ore 2.00;
    • dal Monte Antola a San Fermo ore 2,15;
    • da San Fermo a Costa Salata ore 1,00.

Periodo consigliato e equipaggiamento:

  • Maggio/Novembre: il percorso è per escursionisti, famiglie e scolaresche. Lungo l’intero itinerario non esistono fonti di acqua;
  • Equipaggiamento da escursionismo leggero.

Carrega, Capanne di Carrega e Monte Antola sono state l’epicentro della lotta di liberazione di questa zona in tutte le sue fasi.

A Carrega si insediarono molte missioni alleate: la “Walla-Walla” nel settembre 1944; successivamente sui prati innevati dell’Antola il 18 gennaio 1945 vennero paracadutate la missione americana “Pee-Dee” e quella inglese “Cover” (vedi lapidi sulle case di Carrega). Sui prati dei Piani di Carrega vennero effettuati numerosi lanci anche in pieno giorno.

Partenza a piedi da Capanne di Carrega (quota mt 1369 s l m). L’osteria-locanda di Capanne era tradizionalmente il punto di incontro e di ristoro delle tradotte di muli che trasportavano sale, grano, vino tra Piemonte e Liguria.

Fin dai primi mesi della resistenza questo fu il luogo naturale di insediamento dei primi nuclei di ribelli e poi delle formazioni strutturate: prima la banda “Scintilla” (che poco prima del Natale ’43 si scontra con bersaglieri fascisti tra le Capanne e Bogli); successivamente nei paesi sulle pendici dell’Antola si stanzia la brigata “Oreste” della divisione “Cichero” proveniente dalla Liguria; dopo i rastrellamenti dell’agosto 1944 Aldo Gastaldi “Bisagno”, comandante della divisione Cichero vi si insedia con il proprio comando.

Proprio qui si tenne la riunione storica del 23 settembre 1944 che operò la riorganizzazione della VI zona ligure-alessandrina che andava dal Turchino (fiume Stura) fino alla valle Staffora. Al momento della liberazione facevano riferimento a questo Comando di zona le divisioni Mingo, Cichero, Pinan-Cichero, Coduri.

Percorse poche centinaia di metri sulla strada provinciale si incontra sulla destra l’attacco del sentiero che porta al Monte Antola. Qui la brigata “Iori” sostenne sui due versanti (val Borbera e val Trebbia) numerosi scontri per difendere il comando e le missioni alleate causando centinaia di morti tedeschi e fascisti ed alcuni caduti partigiani.

Si imbocca il sentiero pianeggiante, scoperto e circondato da suggestivi panorami (segnavia CAI E 7 con due tondi gialli); superato il crocevia del passo delle tre croci (m. 1495) si procede in piano lungo la dorsale coperta di faggi e si giunge alla cima dell’Antola (m 1597).

L’Antola non è una cima isolata, ma una montagna simile ad un acrocoro, cioè un monte attorno al quale si distaccano crinali che racchiudono numerose valli. Da ciò la sua importanza strategica per il movimento partigiano: esso era il caposaldo per il controllo di una vastissima zona che dominava i collegamenti tra la Liguria e la pianura padana. Per lo stesso motivo esso fu l’obiettivo centrale di tutti i rastrellamenti che tedeschi e fascisti misero in atto nell’estate del 1944 e soprattutto nell’inverno ’44-’45.

Paesaggisticamente il luogo non ha paragoni: dalla vetta, una larga piramide erbosa, la vista spazia a 360° sull’orizzonte sconfinato: in condizioni di cielo terso si scorgono le navi ormeggiate nel porto di Genova, l’arco della riviera di Ponente (che di sera si punteggia di luci), la Corsica e le isole dell’arcipelago toscano; ad oriente le Alpi Apuane. Il nome deriva dal greco anthos che significa fiore, in riferimento alle fioriture abbondantissime, tra le quali molte piante medicinali.

Il monte era attraversato in ogni stagione dell’anno, per farvi pascolare mandrie, raccogliere fieno e piante medicinali, per raccogliere legna e fare il formaggio. Sotto alla vetta esiste un rifugio che sorge sul luogo dell’antica osteria della famiglia Musante (quattro fratelli ed una sorella) che, in quanto punto di appoggio per i partigiani, venne bruciata dai fascisti.

Da qui si prende il sentiero di destra (segnavia CAI quadrato giallo pieno) e, dopo una discesa ed indi una risalita, si prende l’incrocio a destra costeggiando il Monte Buio (sulla sommità del quale chi volesse ascendervi troverebbe resti delle trincee costruite durante la guerra tra austriaci e francesi alla fine del ‘700).

Su questo crinale il 18 dicembre 1944 venne catturato il partigiano Mario Cesura “Giovanni” della brigata “Oreste”: mentre veniva condotto a Genova, siccome era scalzo e con i piedi sanguinanti, venne ucciso perché rallentava l’andatura; venne decorato con medaglia d’argento al V. M..

Lasciato sulla sinistra il Monte Buio si scende al passo delle Sesenelle (m. 1254) dove si prende la mulattiera di destra e cambia il segnavia: tre tondi gialli.

Si giunge in breve in leggera discesa al valico di San Fermo.

La chiesa, collocata su di un poggio da cui si gode uno splendido panorama a 360°, fu ripetutamente bombardata ad opera dei fascisti da Crocefieschi: nel corso di uno di questi bombardamenti una bomba sfondò la porta della chiesetta e raggiunse la base dell’altare ma fortunatamente non esplose.

Poco sotto San Fermo si trova San Clemente. Da sempre importante punto di incrocio e di convergenza delle varie vie che collegavano la val Borbera, la val Vobbia e Torriglia, era molto frequentato e in occasione delle feste di San Fermo venivano organizzati ben tre “balli” in altrettante osterie. Sede della brigata d’assalto 2Balilla”, che operava in val Brevenna, nel genovesato, fu un vero e proprio caposaldo per i partigiani perché qui il territorio controllato dalla resistenza confinava con la zona oltre il crinale controllata dai fascisti. Il paese venne saccheggiato il 27 novembre 1944 ed incendiato dai fascisti pochi giorni dopo, il 14 dicembre (contemporaneamente all’incendio di Piani di Vallenzona) per rappresaglia per il ferimento di due soldati tedeschi; nel gennaio successivo i tedeschi fecero esplodere l’intera frazione con la dinamite.

Da San Fermo si dipartono due possibili percorsi: il primo, automobilistico, per Dova e Dovanelli, ed il secondo, escursionistico, per Costa Salata.

Seguendo il primo si giunge in breve a Dova superiore. Qui nel mese di settembre 1944 avvennero i primi lanci degli alleati. I primi ad arrivare a Dova furono alcuni elementi della missione Walla – Walla provenienti da Casalbusone: erano in quattro ben vestiti e radunarono tutta la popolazione del paese spiegando loro come avrebbero dovuto comportarsi in occasione dei lanci: in seguito si spostarono a Carrega e il campo fu gestito dalla missione Meridien.

Il 12 settembre venne effettuato il primo lancio notturno: il messaggio proveniente da Radio Londra che lo annunciava era: “il bel campanile”; vennero accesi sette fuochi disegnando la lettera Zeta. Il 22 gennaio 1945 vennero lanciate numerose casse: ma appena recuperate furono avvistati in avvicinamento reparti fascisti. La popolazione riuscì appena in tempo a scaricare il materiale ricevuto dalle lese (slitte) e a nasconderlo. Ebbe inizio la battaglia di Piancerreto in cui il distaccamento “Castiglione”, che a guardia di lancio, affrontò i fascisti e li respinse.

Dopo l’incendio di San Clemente (14 dicembre 1944) i partigiani del distaccamento “Verardo” si insediarono a Dova superiore distribuendosi nelle varie abitazioni. A turno venivano distaccate pattuglie a fare la guardia a San Clemente.

Transitati per Dova inferiore, si giunge rapidamente a Piancerreto. Nell’agosto 1944 fu sede della missione Meridien comandata da Erasmo Marré Minetto: era formata da italiani che avevano dapprima oltrepassato le linee nemiche e poi, tramite l’organizzazione anglo-americana, erano stati rinviati nell’Alta Italia paracadutandoli in val Pellice; da qui si spostarono poi a Piancerreto.

Il 23 gennaio 1945 vi si svolse la battaglia in cui i partigiani del distaccamento Castiglione respinsero un reparto fascista accorso per impadronirsi del materiale appena aviolanciato a Dova.

Si giunge infine a Dovanelli. Nell’attuale Santuario, adibito a prigione dalla fine del ’44, furono rinchiusi anche 50/60 nazifascisti catturati nella battaglia di Garbagna. Il confessionale, portato fuori dalla chiesa, servì come garitta per la sentinella. Vicino si trovavano due fosse in cui erano stati sepolti due o tre prigionieri fucilati.

Il secondo itinerario escursionistico che si diparte da San Fermo conduce a Costa Salata, dove si congiunge con l’itinerario proveniente da Roccaforte.

Attaccato il sentiero dalla strada provinciale sotto il poggio ci si inoltra in cresta su un percorso pianeggiante e dalla bellissima vista. Il sentiero si interseca spesso (o coincide) con una strada carrareccia: bisogna comunque preferire il sentiero, che sempre si diparte sul lato sinistro della strada sterrata, ed è segnalato con un rombo giallo.

La vista domina la valle sottostante, distinguendo chiaramente i paesi di Vallenzona, Vobbia e, più in alto sulla successiva catena, Crocefieschi, al di là del quale si intuisce la valle Scrivia. Lasciato sulla sinistra il monte Castello ed in seguito la Cima dell’Erta si giunge al punto in cui sentiero e carrareccia si dividono definitivamente: tenere quindi sempre la sinistra (segnavia rombo giallo) e, per rapide discese ombreggiate, si giunge rapidamente a Costa Salata sulla provinciale, attraversando la quale ci si ricollega con l’itinerario per Roccaforte.

Percorrendo per alcuni metri la provinciale in direzione di Vobbia si scollina sull’altro versante e si incontra il monumento che l’ANPI di Genova ha eretto a riconoscenza delle popolazioni di queste vallate che con sacrifici ed eroismo collaborarono alla resistenza.

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