Cap. XIII: Il lavoro obbligatorio

Alcuni ebrei alessandrini al lavoro obbligatorio

Con un provvedimento amministrativo del 6 maggio 1942, tutte le persone “di razza ebraica” italiane, di ambo i sessi, discriminate e non, dai 18 ai 55 anni furono costrette al lavoro obbligatorio. Ne vennero esonerati, però, coloro che avevano coniuge e figli “ariani”, gli inabili e i malati, le donne incinte e con prole minorenne, i medici.

Il lavoro doveva essere preferibilmente manuale e comunque non di tipo già proibito agli ebrei. Inoltre, questi non dovevano avere “ariani”alle proprie dipendenze, né lavorare mischiati a loro.

A livello nazionale nel luglio 1943 erano state selezionate per età e sottoposte a visita medica 15517 persone; di esse 1301 erano state dispensate definitivamente, 2410 lo erano state provvisoriamente e (delle restanti 11806) 1235 erano state avviate al lavoro.

In Alessandria, [46] abbiamo:

Totale dei precettati : 76 (39 m. e 37 f.)

Esoneri:

Non accordati: 5

Permanenti: 56

per malattia 11

– inabilità 9

– inabilità al lavoro 4

– imperfezioni fisiche 1

– ins. Comunità 1

– famiglia mista 6

– assistenza familiari 11

– medico 2

– rabbino 1

– esami di stato 1

– inidoneità 2

– età 3

– inabilità del padre 1

– non può essere precettata 1

– revocata la precettazione 1

– permanente Non accordato 1

Temporanei: 8

Mesi 6: 2 per riposo, 1 per infermità

Mesi 5: per malattia 1

Mesi 3: per malattia 1

Mesi 1: ragioni di studio 1

gg. 15: per malattia 1

temporanea: 1 per imperfezione fisica

1 non si è mai presentato

5 non è indicato nulla [47]


Note

[46] I dati sono tratti da un documento “Municipio di Alessandria, Elenco nominativo di Ebrei già precettati per il servizio del lavoro , del 29 maggio 1943 – XXI, non firmato, senza timbro. Archivio privato di Ada Vitale.

[47] Testimonianza di Ada Vitale:

… nei primi giorni di ottobre 1942, secondo le disposizioni ministeriali, noi ebrei siamo stati reclutati per il servizio obbligatorio e naturalmente siamo stati assegnati a lavori che dovevano essere umilianti e manuali. … gli uomini furono assegnati alla pulizia dei viali di periferia o dei vialetti del Cimitero e noi donne fummo impiegate in lavori dapprima schifosi (come il taglio dei peli delle pelli di coniglio puzzolenti) e poi in altri lavori di nessuna utilità, presso la ditta Borsalino.

La curiosità della gente era morbosa: andavano a vedere “gli ebrei” lavorare per le strade sotto la sorveglianza dei cantonieri del Comune, oppure aspettavano noi donne all’uscita della fabbrica come fossimo bestie rare. Per fortuna, dopo qualche tempo, smaltito lo stupore di questa insolita situazione, la gente non si è più interessata a noi e le autorità, attaccandosi a vari appigli, hanno permesso a buona parte delle donne di restare a casa. Siamo rimaste una ventina tra ragazze e donne e siccome i lavori che ci facevano fare non erano gravosi e i due sorveglianti, i sig. Laiolo e Rapetti, erano due ottime persone, abbiamo passato persino dei giorni sereni. […] La paga era veramente poca, ma certamente alla ditta Borsalino non abbiamo apportato utili, forse solo seccature.

Alla fine, chi per un motivo, chi per un altro, quasi tutti sono stati esentati: siamo rimaste in tre: S.D. che, essendo ragioniera e corrispondente in lingue straniere, era stata trasferita negli uffici, E. S. che faceva lavori di cucito ed io che sono stata aggregata all’ufficio fatturazioni.”

Testimonianza di Vittorio Finzi:

Le cartoline precetto di colore giallo giunsero a casa nostra tutte insieme, per il papà, la mamma e per noi fratelli: ciascuno doveva prestare il suo “lavoro” in modo diversificato, secondo le modalità decise dalle autorità locali.

Mio padre, affetto da sinovite cronica alle ginocchia tanto che era stato riformato dal servizio militare, fu costretto a lavorare in una squadra composta da una decina di manovali-spazzini. Insieme ad altri ebrei adulti doveva spazzare i viali alberati della città e del cimitero; gli furono necessari alcuni mesi per ottenere l’esenzione per motivi di salute.

L’aspetto singolare che caratterizzava tale squadra era che si trattava di persone ben note nella città e quasi tutti professionisti. Mio padre raccontava che, quando i passanti li incontravano, era tutto un susseguirsi di saluti: «Buon giorno avvocato», <come sta dottore?>, <ossequi cavaliere», «buon lavoro, signor Arrigo» (mio padre). Non ho mai capito se fossero saluti di dileggio, di contestazione o di solidarietà.

La mamma, distolta dalle occupazioni domestiche, fu precettata presso un reparto della fabbrica Borsalino. Insieme ad altre signore doveva confezionare camicie per l’esercito (dal taglio e dalla cucitura ai lavori accessori), e lei risultava la più efficiente: ogni sera consegnava alla capo sala sette camicie stirate e impacchettate, molte di più degli standard previsti. Io non sapevo spiegarmi tanto zelo!

Ma la mamma era una donna instancabile: usciva alle 18 dalla fabbrica e correva a casa a occuparsi di tutte le faccende domestiche. Per evitarle un esaurimento, il papà si rivolse alle autorità per trovare una scappatoia. Con gran fatica la scappatoia venne dall’ufficio addetto alla difesa della razza, rifilandoci come domestica, per un paio di ore al giorno, un’anziana donna in conclamata menopausa, sicché a casa nostra non c’era pericolo di infrangere la legge sull’integrità della razza ariana. Mio fratello maggiore Guido (medico farmacista) lavorava a Milano in una ditta privata e svolse il lavoro obbligatorio a Milano.

Invece io (ingegnere) e l’altro mio fratello Enzo (maestro) fummo precettati come manovali, insieme a sei ebrei, da un’impresa che aveva un appalto per conto della Milizia Forestale. Si trattava della ditta Amelotti che, nel magnifico parco della tenuta Passalacqua di S. Giuliano (fra Alessandria e Tortona), doveva effettuarne il radicale disboscamento. Era un vero e proprio delitto ecologico, ma allora chi avrebbe osato protestare?

In aiuto a boscaioli provetti, dovevamo abbattere alberi secolari, usando gli stessi loro attrezzi (segoni, seghe, accette, mazze, cunei ecc.) per ricavarne legname da costruzione, legna da ardere, fascine.

Il lavoro era molto pesante ma, fortunatamente, a dire il vero, abbiamo incontrato sorveglianti, capi squadra e militi comprensivi che ci trattavano con umanità, senza redarguirci e pretendere l’impossibile.

Il signor Amelotti, del resto, scherzosamente, diceva: «Questi ebrei sono bravi solo a scrivere, nei lavori manuali la pelle delle loro mani si arrossa e si copre di vesciche al solo sfiorare i manici degli attrezzi,,. Ciononostante, per orgoglio, noi ci impegnavamo in tutti i lavori assegnatici, anche se poi tornavamo a casa veramente doloranti e spossati. Una circostanza favorevole consisteva paradossalmente nelle agevolazioni di carattere generale per gli addetti ai lavori pesanti. Anche per noi erano previsti razionamenti aggiuntivi di generi alimentari (pane, pasta, riso, zucchero, fagioli e fave) e, ogni tre mesi, avevamo titolo ad avere copertoni e camere d’aria per le nostre biciclette, necessarie per recarci sul posto di lavoro.

V: Finzi, Il mio rifugio…, cit., pp. 30-32.

Presentazione

Cap. I: L’arrivo

Cap. II: I primi atteggiamenti ostili