Un ricordo di Roberto Leydi

18 February 2003

Roberto Leydi si è spento sabato 15 febbraio, a 75 anni. È stato certamente uno dei più grandi studiosi italiani di cultura popolare, fondatore, assieme a Diego Carpitella, della moderna etnomusicologia italiana.

Nato a Ivrea nel 1928, si era interessato, sin dalla fine degli anni ’40 di musica contemporanea, di jazz e di musica popolare americana, collaborando con Luciano Berio e Bruno Maderna. Si dedicò poi specificamente alla musica di tradizione popolare, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo dell’etnomusicologia italiana.

Grande ricercatore “sul campo”, fu un eccezionale scopritore degli “altri mondi” sonori, non solo nel natio Piemonte e nelle altre regioni settentrionali, ma in Grecia, Francia, Scozia, Spagna, Nord Africa, dando nel nostro paese un contributo fondamentale a promuovere le ricerche e gli studi sul canto sociale, la ballata, la musica liturgica tradizionale, gli strumenti musicali.

Aveva promosso l’Ufficio per la cultura popolare della Regione Lombardia, curando una splendida serie di volumi di documentazione sulla cultura tradizionale lombarda. Aveva curato l’edizione di numerosi dischi di documentazione etnomusicologica (prima la collana dei Dischi del Sole, poi la collana Albatros) e la realizzazione di spettacoli di musica popolare, di trasmissioni televisive e radiofoniche, di mostre documentarie sulla musica e lo spettacolo popolari.

Grande maestro, fascinatore e trascinatore dei suoi allievi, il suo magistero all’Università di Bologna (DAMS) ha allevato tutta una generazione di giovani ricercatori e ha influito non poco sul sorgere e il permanere di un folk-revival in Italia.

Anche chi scrive ha con lui molti debiti di riconoscenza. Fu lui infatti, alla metà degli anni ’60, con i suoi Dischi del Sole, con il volume Canti sociali italiani, con lo spettacolo Le canzoni di “Bella ciao” (Spoleto, 1964), a darmi la spinta alla ricerca sul territorio alessandrino; fu lui, una decina di anni dopo, con la sua generosa amicizia, a incitarmi a pubblicare qualcosa delle mie innumerevoli registrazioni e a fare da padrino al disco di canti popolari Alessandria e il suo territorio, che vinse inopinatamente, nel 1978, il premio della critica discografica italiana.

L’anno prima avevamo curato insieme, per la BUR, la densa antologia dei Canti popolari piemontesi ed emiliani di Giuseppe Ferraro.

E poi, come dimenticare la partecipazione, appassionata e sempre documentatissima, ai nostri Convegni di Rocca Grimalda: da quello del 1999 sul Senno di Bertoldo, a quello sullo Charivari (2000), all’ultimo, dell’anno scorso, dedicato alle Voci del Medioevo. Come dimenticare la simpatia con cui aveva voluto scrivere la prefazione al mio libro sulle Bosinate carnevalesche in Piemonte, presenziando alla stessa serata organizzata dall’Assessorato provinciale alla cultura in Palazzo Guasco (26 febbraio 2000).

E infine, la sua ultima opera, guarda caso, dedicata proprio ad una tradizione radicata nella nostra terra, quel Gelindo ritorna (ed. Omega) cui Umberto Eco ha premesso una divertentissima nota di tono autobiografico (“sulla famosa querelle fra le scuole di Bratislava e di Koenigsberg e i frati di Alessandria”) e a cui anch’io ho collaborato con tanti documenti, dai canti ai libretti popolari “di stalla” di mia madre.

Chi ha avuto la fortuna di averlo compagno in qualche momento conviviale post convegno, non potrà facilmente dimenticare la sua carica di buonumore, la sua prorompente vitalità, la sua intelligente ironia. Grazie di tutto, Roberto. Il folk italiano ti deve molto: non solo i canti di Teresa Viarengo, della Daffini, delle sorelle Bettinelli o del Sinigaglia, ma anche la singolare, imprevista rinascita della canzone popolare in questo scorcio di 2003 (leggi il successo di Sento il fischio del vapore, di De Gregori-Marini).