La Memoria delle Alpi. Storia e didattica dei luoghi

SINTESI DI ALCUNI DEGLI INTERVENTI

Antonio Monticelli, coordinatore del progetto “Memoria delle Alpi”

Il progetto “La memoria delle Alpi” è finanziato dalla Comunità Europea e per noi comprende lo studio dell’identità delle Alpi, dalle Marittime al confine lombardo e coinvolge le seguenti regioni: per l’Italia il Piemonte e la Valle d’Aosta, per la Francia la Regione Rhône-Alpes e Provence-Côte d’Azur; in Svizzera Valais e Canton Ticino.

Ovviamente alle regioni si aggiungono i comuni e le province interessate. Il progetto, iniziato nel 2003, avrebbe dovuto concludersi ai primi di giugno di quest’anno, ma le attività previste sono state prorogate sino al 2007.
I fili della memoria, delle esperienze e dei fatti, sono molto labili: ecco perché le storie della guerra, della lotta partigiana, della persecuzione antiebraica si devono trasformare in Storia. I luoghi scelti sono per ciò ricchi di contenuto e di significati.

I mezzi per giungere alla conoscenza della memoria sono:

• Il portale internet www.memoriadellealpi.org , arricchito con il materiale fornito dagli istituti e dalle organizzazioni che hanno lavorato sul campo.
• Musei e centri di rete, che interessano le autorità locali.
• I sentieri della libertà e le guide per accedervi.

Fondamentale il ruolo degli Istituti storici della Resistenza, una realtà esistente solo in Italia, che ha lavorato in forme molto più coordinate che altrove, in Francia, dove esistono molti musei dedicati alla storia contemporanea, il lavoro però ha richiesto uno sforzo molto maggiore tra le varie università coinvolte.

Mauro Bonelli, responsabile Isral del progetto ” Memoria delle Alpi”

Il progetto ha lo scopo di migliorare la fruizione di alcuni luoghi della memoria in provincia di Alessandria, e soprattutto di fare in modo che questa fruizione non si esaurisca nella disattenzione nella quale spesso si svolgono i viaggi d’istruzione,. ma attraverso la simulazione di un’esperienza.

I mezzi sono in parte luoghi fisici legati alla realizzazione degli enti locali ( musei, centri rete, postazioni internet), in parte sentieri, spesso già presenti sul territorio e utilizzati da tempo immemorabile, attrezzati o risistemati, segnalati, dotati di cartellonistica e documentazione.

Il numero degli itinerari nelle zone della Val Borbera, della Benedicta, di Ponzone ( Bandita/Olbicella) è molto variabile e segue tre direttrici fondamentali:

  • i sentieri del fondovalle, che servivano da avvicinamento alle zone controllate dai partigiani, per salire e scendere al momento delle azioni di guerriglia;
  • i sentieri delle bande, che servivano a collegare fra loro i comandi e i vari distaccamenti;
  • i sentieri della fuga.

In questo modo si impara sul posto la vita delle bande partigiane e anche come si è evoluto il modo di combattere, dall’errore strategico iniziale, che consisteva nel difendere staticamente i luoghi di posizionamento in modo statico , secondo i canoni classici della strategia militare. Questo errore ha costi molto alti, in termini di morti, feriti, deportati tra gli uomini in armi e anche tra i civili, considerati complici dei partigiani..

Fausto Ciuffi, presidente, Fondazione “Villa Emma”, Nonantola.

Il luogo è una fonte storica anch’esso e come tale va preservato e conservato: in Italia sono stati gli istituti Storici della resistenza sono stati i primi a intuire che la storia si può anche agire, non solo studiare.

I primi a farlo sono stati Trieste, gli istituti emiliani ( Carpi) e il Piemonte ( Cuneo prima di tutti). La stessa Fondazione Villa Emma di Nonantola che io dirigo si riferisce ad un episodio della Seconda Guerra Mondiale. Nella Villa vennero ospitati e in seguito aiutati ad espatriare in Svizzera un gruppo di 73 bambini ebrei. Tutta la comunità, con il parroco in testa si mobilitò per aiutarli.

Questa storia, dove si intrecciano storia locale e generale, non può essere rievocata attraverso il luogo preciso ( la villa è di proprietà privata e non è più visitabile). I luogo mescola storia locale e storia generale nell’intreccio di vite dei protagonisti (la II guerra mondiale, la deportazione, i paesi in cui si trasferirono dopo la guerra.) Ciò che è interessante è il fatto che i testimoni che gli studenti incontrano non sono i protagonisti materiali dell’evento, ma i ragazzi del paese che all’epoca dei fatti avevano più o meno la loro stessa età.

In questo modo si può agire, in un certo senso, alla stessa altezza dei visitatori. Ogni luogo, anche le lapidi che ricordano il nome di una strada, dice qualcosa al passante: questa è la storia della memoria . Dobbiamo però ricordarci che ogni memoria è di tipo pluralistico, e questo va insegnato , non è però possibile, a suo avviso , dare origine ad una memoria pubblica nazionale.

Un luogo storico ha sempre una dimensione plurale nella sua interpretazione: si può partire dal numero e dal tipo di storie che vi si sono intrecciate ( Fossoli, per esempio, fu un campo di transito per i deportati ebrei, ma prima un campo di internamento di prigionieri di guerra, e poi un ricovero per gli orfani di don Zeno Saltini e in seguito un insediamento per i profughi giuliani prima di cadere definitivamente nell’abbandono), chi lo ha trasformato in un luogo di memoria – e per contro chi lo ha lasciato nell’abbandono e perché, chi si riconosce in esso.

Al luogo si può rispondere in molti modi, a seconda di come si vuole utilizzarlo: Oradour in Francia, per esempio, una piccola città francese rasa al suolo da una divisione tedesca in ritirata che massacrò l’intera popolazione, è stata volutamente mantenuta in rovina dal governo francese, come una piccola Pompei del XX secolo. Il luogo è interrogabile proprio perché è rimasto identico al giorno del massacro, vivente comunque anche al passare delle generazioni.

Diego Berra, Scuola di Pace di Boves.

Il modo migliore per insegnare la pace è con l’esempio e la e la coerenza, perché pace, giustizia, tolleranza sono solo parole se non diventano modo di vita e i giovani, che sì, sono sovente distratti, sono anche abilissimi nello smascherare l’ipocrisia.

La Scuola di Pace di Boves, che è nata dall’iniziativa, di un sindaco democristiano, Piergiorgio Peano, mostra , nel contesto cattolico in cui si è sviluppata, che pace non è una parola neutrale. Boves, sì è la città due volte incendiata dai fascisti e dai tedeschi, ma è anche la città divisa, tra partigiani e repubblichini, una divisione che sovente lacerava nell’ambito di una stessa famiglia.

L’immaginario collettivo , non corrisponde dunque alla realtà storica. Anche questo, però, insieme agli interventi educativi di tipo più formale, ci aiuta a mantenere vivi i valori dei partigiani: “mai più guerra”. Lo ha detto sino all’ultimo anche Nuto Revelli.