Scheda storica

Marcarolo in età medioevale

Nel Medio Evo, con lo sviluppo di nuovi assi viari, il territorio di Capanne di Marcarolo, già noto in epoca romana, acquista una notevole importanza economica e commerciale.

La “Strada Cabanera”, a partire dal secolo XI, diventò uno dei più frequentati percorsi attraverso cui veniva trasportato e commercializzato il sale, merce allora molto preziosa. A Marcarolo esisteva anche un deposito del sale. Ne resta memoria nel toponimo di una cascina: la Salera.

Nel Medio Evo, con lo sviluppo di nuovi assi viari, il territorio di Capanne di Marcarolo, già noto in epoca romana, acquista una notevole importanza economica e commerciale.

La “Strada Cabanera”, a partire dal secolo XI, diventò uno dei più frequentati percorsi attraverso cui veniva trasportato e commercializzato il sale, merce allora molto preziosa. A Marcarolo esisteva anche un deposito del sale. Ne resta memoria nel toponimo di una cascina: la Salera.

Cominciarono a sorgere i primi insediamenti umani: proprio all’XI sec. risalgono le prime notizie riguardanti il priorato della Benedetta, che diventò, come molti monasteri, non solo luogo di culto ma anche tappa di sosta per i numerosi viandanti.

Contribuì alla costruzione di nuovi insediamenti anche la ricchezza di legname, che veniva commercializzato come combustibile e soprattutto come materiale da opera e da naviglio.

La formazione delle proprietà Spinola e Pizzorno 

Proprio la crescente domanda di legname fu alla base dell’accorpamento, tra il XVII e il XVIII secolo, degli insendiamenti umani di Marcarolo in due proprietà medio-grandi controllate dalle famiglie Spinola e Pizzorno.
La famiglia Spinola era una delle più illustri rappresentanti della nobiltà genovese e, mentre si assicurava la proprietà di molte cascine a Capanne di Marcarolo, si impossessava anche delle Ferriere di Masone e Campo Ligure e dei boschi circonvicini, di cui il legname proveniente dalle “selve” di Marcarolo divenne il necessario complemento.

I promotori dell’altro nucleo proprietario, i Pizzornodi Rossiglione, cercavano nel bosco di Marcarolo i rifornimenti combustibili per le loro iniziative manifatturiere (maglietti e piccole ferriere) e il materiale per i loro commerci con gli armatori genovesi.

La tipologia dell’insediamento rurale testimonia l’importanza decisiva del legname nel processo di colonizzazioni della nostra zona: essa è caratterizzata da un insediamento a case sparse, funzionale proprio allo sfruttamento del bosco. Tale tipologia sembra sviluppare quella già sperimentata dalla colonizzazione monastica del ‘300 ed è caratterizzata da un complesso rurale generalmente costituito da due nuclei; I’edificio destinato ad abitazione e la cassina con funzioni di fienile, stalla e rustico. Gli edifici erano quasi sempre situati in una zona pianeggiante, ove si ricavavano i seminativi destinati quasi esclusivamente ad una produzione appena sufficiente per l’autoconsumo; attorno si stagliavano le “selve” ed i boschi, vera ricchezza del territorio.

Il bosco fonte di ricchezza

Un documento della seconda metà del ‘700 ci mostra con chiarezza il radicale mutamento del regime proprietario verificatosi nel volgere di poche decine di anni: delle oltre 60 cascine, 2 soltanto appartenevano ancora ai diretti conduttori; tutte le altre erano in affitto ai contadini e appartenevano agli Spinola (oltre 20 cascine), ai Pizzorno (una decina di cascine) e ad altre famiglie della borghesia imprenditoriale genovese.

Con il mutare dei rapporti di proprietà iniziò una fase di sfruttamento intensivo del bosco improntata a caratteri decisamente imprenditoriali.

Dobbiamo alla penna di Domenico Gaetano Pizzorno il documento più prezioso per comprendere l’importanza e il valore del legname prodotto dalla “selva” di Marcarolo in quei decenni.
Nel suo scritto del 1754 il sig. Gaetano Pizzorno dedicava pagine precise ai Sistemi per allevare i boschi che la famiglia possedeva numerosi. L’Uttile del bosco doveva derivare da tre fonti: La legna da ardere, destinata soprattutto ad alimentare le attività imprenditoriali che la famiglia possedeva a fondovalle; il legname da opera e da naviglio: è a questo proposito che il manoscritto Pizzorno si fa più dettagliato, suggerendo tecniche appropriate per ottenere tronchi adatti alla costruzione delle varie parti della nave, in particolare alberi curvi e forcuti; l’integrazione all’alimentazione del bestiame: lo sviluppo di una piccola attività pastorizia diventava quindi il naturale complemento di quel tipo di azienda che riusciva in tal modo a sfruttare completamente il ciclo del bosco.

Il rastrellamento della pasqua 1944

Intorno al Monte Tobbio nell’inverno 1943-1944 si rifugiarono i primi nuclei di giovani renitenti alla leva e partigiani, che rifiutavano di continuare la guerra e iniziavano il loro percorso di opposizione al fascismo: il comando partigiano venne collocato alla Benedicta.Nella primavera 1944 i giovani affluiti in montagna erano ormai diverse centinaia. Anche se molti di loro erano male armati e privi di istruzione militare, la loro presenza rappresentava un pericolo potenziale per tedeschi e fascisti, che decisero di organizzare un rastrellamento il cui scopo era duplice: sgominare le bande e creare il terrore nella popolazione civile.

Il 7 aprile 1944 ingenti forze nazifasciste circondarono la Benedicta e le altre cascine dove erano dislocati i partigiani e colpirono duramente i giovani, spesso impossibilitati a difendersi per la mancanza di un adeguato armamento e di esperienza militare. Il rastrellamento proseguì per tutto il giorno e nella notte successiva. Molti partigiani, sfruttando la conoscenza del territorio, riuscirono a filtrare tra le maglie del rastrellamento, ma per centinaia di loro compagni non ci fu scampo.

In diverse fasi i nazifascisti fucilarono 147 partigiani, altri caddero in combattimento; altri partigiani, fatti prigionieri, furono poi fucilati, il 19 maggio, al Passo del Turchino.Altri 400 partigiani furono catturati e avviati alla deportazione in Germania: 200 di loro riuscirono fortunosamente; quasi tutti i loro compagni lasciarono la vita nel campi di concentramento.

Il rastrellamento della Benedicta, che nelle intenzioni dei nazisti e dei fascisti avrebbe dovuto fare terra bruciata intorno alla resistenza, non riuscì tuttavia a piegare lo spirito popolare. Anzi, proprio dalle ceneri della Benedicta il movimento partigiano, dopo aver avviato una riflessione anche spietata sugli errori compiuti, riuscì a riprendere vigore: la divisione “Mingo”, attiva nell’ovadese, ebbe tra i suoi promotori proprio alcuni degli scampati alla Benedicta. Altri partigiani continuarono la loro esperienza in formazioni della Val Borbera e in altre divisioni partigiane dell’appennino alessandrino.