Staffette. Donne della Resistenza. 65° anniversario della Liberazione a Silvano d’Orba

14 April 2010

Staffette. Donne della Resistenza. 65° anniversario della Liberazione a Silvano d’Orba

24 aprile 2010

Ore 21.00 – Teatro SOMS di Silvano d’Orba

Proiezione del film-documentario di Paola Sangiovanni “Staffette”

Interverranno:

  • Ivana Maggiolino, Sindaco di Silvano d’Orba;
  • Maria Rosa Scarcella, Vicesindaco di Silvano d’Orba;
  • Paola Sangiovanni, Autrice e regista del film;
  • Adriano Icardi, Senatore;
  • Sabrina Caneva, Vicepresidente ANPI Provincia di Alessandria;
  • Pierfranco Romero, Circolo Dialettale Ir Bagiu.

Seguirà un rinfresco

25 aprile 2010

Ore 9.15 – Piazzale Alcide De Gasperi (Monumento di Caduti)

Raduno dei partecipanti e Santa Messa officiata dal Rev. Mons. Don Sandro Cazzulo (in caso di maltempo Chiesa Parrocchiale)

Ore 9.45

Partenza del corteo e deposizione delle corone e dei fiori ai Monumenti dei Caduti

Ore 10.15

Ritorno al Piazzale e saluto del Sindaco Ivana Maggiolino

Ore 10.30

Orazione ufficiale tenuta da Cesare Manganelli, Ricercatore Isral (in caso di maltempo Teatro SOMS)

La resistenza delle staffette Quattro partigiane piemontesi si raccontano in un docufilm di Paola Sangiovanni di ALESSANDRA BARBERIS ("Il Manifesto" 10 Febbraio 2006) Le ragazze che nel 1943 decisero di unirsi alle formazioni partigiane a differenza dei loro coetanei non erano obbligate a schierarsi, con la milizia di Salò o con la Resistenza. Scelsero perché volevano, perché cercavano qualcosa in più. Di questa scelta racconta Staffette, un documentario realizzato raccogliendo la testimonianza di quattro partigiane piemontesi, prodotto con il contributo della commissione delle elette e dell'assessorato al bilancio della provincia di Roma. Anna Cherchi, Claudia Balbo, Marisa Ombra e Nicoletta Soave avevano circa 18 anni quando l'8 settembre travolse l'Italia. Presero parte alla Resistenza nelle colline del Piemonte meridionale che hanno per sfondo il Monviso, tra il Monferrato e le Langhe. Il loro racconto di oggi, integrato da immagini per lo più provenienti da archivi privati e quasi inedite, in parte risonorizzate, ci restituisce una storia politica, di lotta, ma anche di sentimenti, emozioni e di corpi. In questa ricchezza c'è la prospettiva di genere dichiarata dalla regista (Paola Sangiovanni, che dedica il film a sua madre, nome di battaglia "Prima") e dalle produttrici (Laura Cafiero e Gabriella Galluzzi per Metafilm). C'era il coraggio, quando "i compagni ci mettevano alla prova per vedere le nostre reazioni" e quando poi il gioco si fece duro e si dovette affrontare a viso aperto la brutalità dei repubblichini e dei nazisti. E c'era la paura, quella profonda e ancestrale provocata dal latrare dei cani, più ancora che dalla percezione dell'avvicinarsi dei tedeschi. Nelle brigate partigiane le ragazze sperimentarono nuove forme di solidarietà. Era una solidarietà liberatoria, perché si poteva esprimere dire che si pensava, "non come con i parenti", dice Claudia Balbo. Le staffette condivisero il quotidiano con gli uomini, fino a dover occupare di notte lo stesso giaciglio. Per qualcuna fu l'assaggio di una nuova dimensione: sentirsi compagni; per qualcun'altra, educata con maggiore severità, una questione da trattare con una certa prudenza - "la paglia vicino al fuoco brucia" - cercando per esempio di dormire sempre dalla parte del muro. Se la Shoà non è menzionata, l'intenso e lucido racconto di Anna Cherchi dà voce a tutti coloro - ebrei, zingari, testimoni di Geova, omosessuali, disabili, malati, oppositori politici - che subirono quella stessa sorte. Combattente della II Divisione Langhe, fu deportata nel `44 per non aver confessato sotto tortura dove i partigiani avevano nascosto le armi lanciate dagli aerei inglesi. Nel campo di sterminio, stremata dal lavoro forzato, seviziata da un macellaio che le tolse i denti, Anna capì fino in fondo che il progetto scientificamente perseguito era quello dell'annientamento: far diventare una donna o un uomo "un nulla". E' questa la cosa più difficile da accettare, che solo la pacatezza di donne più anziane, compagne di prigionia può aiutare a sopportare, racconta con assoluta sobrietà la partigiana. Piangerà al ritorno in Italia, ritrovando il cibo di casa, i grissini. Nicoletta Soave, arrestata a Santo Stefano Belbo nel `44 insieme con una compagna, fu condotta all'interrogatorio e qui ritrovò il soldato tedesco che qualche tempo prima era stato prigioniero dei partigiani e che lei stessa avevano sorvegliato. Durante quel periodo di prigionia aveva sfamato il giovane tedesco con una pagnotta. Il soldato riconosce le ragazze, ma non solo non le tradisce: di notte entra senza fare rumore nella cella e le copre delicatamente con una coperta, lasciando una borraccia piena di cioccolato. Il gesto, prima che la bevanda bollente, scalda il cuore e conforta. Nelle notti passate nelle stalle si parlava del mondo. Si parlava di come cambiarlo come se "fosse stato una cosetta da niente lì intorno, facile da rifare", ricorda Marisa Ombra. Nei Gruppi di difesa della donna e di assistenza ai combattenti della libertà - "mai nome fu più stupido e improprio" - si cercava di capire come funzionava un parlamento democratico. L'emancipazione e poi la consapevolezza della differenza sarebbero venute dopo; intanto le partigiane discutevano di andare finalmente a votare come gli uomini. Sappiamo che senza la loro scelta e senza la loro audace esperienza di libertà il seguito delle battaglie delle donne, in un paese patriarcale e cattolico, avrebbe rischiato di procedere molto più lentamente. La convinzione di poter cambiare le cose restò dopo la Liberazione: superati cinque anni terribili, cominciare una nuova vita e un mondo nuovo sembrava possibile. Con questo sogno in testa le ragazze partigiane andarono avanti, alcune si impegnarono in politica, altre si divisero tra famiglia e lavoro, quel lavoro che alla fine dei `40 era difficile rivendicare perché una donna non poteva togliere il posto a un padre di famiglia. Afferma Marisa Ombra: "Alle donne italiane nulla è stato regalato, abbiamo conquistato tutto e siamo state grandiose". Le donne hanno partecipato attivamente alla Resistenza in Italia e pagato prezzi alti. Furono 623 le partigiane cadute in combattimento o uccise per rappresaglia; 4.600 furono arrestate, processate e torturate, 2.750 deportate nei campi di concentramento. Su 250 mila attivisti, 75 mila furono la donne nei Gruppi di difesa femminili e 30 mila nelle forze combattenti.