Vivere la memoria. Fra pedagogia e indagine scientifica

12 June 2007

Studenti alla ricerca della memoria popolare: dal “tempo perduto” al “tempo ritrovato”

Come scrive Alexander Stille ne La memoria del futuro (Milano, Mondadori, 2004), “il nostro bisogno di dare un senso alla vita è legato all’idea di avere un posto nella storia”.

Il progetto pedagogico “Vivere la memoria”, nato dalla collaborazione fra l’Istituto Socio Psico-Pedagogico “D. R. Saluzzo” di Alessandria, l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Facoltà di Scienze Politiche di Alessandria, il Museo Etnografico “C’era una volta”, il Centro di cultura popolare “G. Ferraro” dell’ISRAL, si è posto l’ambizioso obiettivo di portare dei giovani studenti a confrontarsi con il patrimonio memoriale del proprio territorio, innescando un circolo virtuoso tra scuola e società civile, scuola e comunità, scuola e istituzioni.

Poteva sembrare una scommessa, mettere in gioco attori diversi, ruoli diversi, sulla base di un obiettivo comune: il recupero critico conoscitivo delle proprie radici culturali in un mondo sempre più globalizzato, al fine di far percepire i cambiamenti socioculturali intervenuti nel secolo passato.

Al di là dell’esito che si concretizza in questa pubblicazione, posso dire che tale risultato è stato raggiunto attraverso un percorso articolato estremamente stimolante che ha visto per la prima volta una collaborazione fattiva tra la scuola media superiore, un Museo Etnografico nato dal volontariato, un Istituto Storico col suo Centro di cultura popolare, e l’Università. Una sinergia senza dubbio positiva, ai fini della valorizzazione delle risorse culturali del nostro territorio, che trova riscontro – e questo ci sembra importante – nell’entusiasmo degli studenti coinvolti.

Avendo collaborato al progetto soprattutto nella prima fase, rammenterò alcuni momenti di tale percorso, che si proponeva essenzialmente di:

  1. Sviluppare un percorso integrato di ricerca su temi legati alla storia e alla memoria della cultura popolare sul territorio;
  2. Consentire a studenti di scuola media superiore e universitari di effettuare attività di apprendimento, di formazione e di ricerca;
  3. Offrire al territorio alcuni momenti di animazione culturale sul tema della propria memoria collettiva.

Ricordo che nei primi amichevoli incontri con Michele Maranzana, Flavio Ceravolo, Elena Garneri, ci si poneva il grosso dilemma di come affrontare, con un approccio metodologicamente corretto, il recupero di “tracce di identità collettiva”.

Subito ci era parsa interessante l’ipotesi di partire dagli oggetti conservati in un Museo etnografico (manufatti, oggetti materiali, strumenti di lavoro ecc.) non solo per valorizzare il ricco patrimonio racchiuso nel Museo della Gambarina, ma per sperimentare nello stesso tempo l’impatto che giovani di oggi (allievi dell’Istituto “D. R .Saluzzo” di Alessandria e ricercatori universitari) provano di fronte ai reperti della tradizione popolare.

Se la filosofia di un museo ben inteso è “Saper conservare per poter ricordare”, ci pareva una stimolante opportunità prendere le mosse dagli oggetti documentati per compiere un itinerario culturale e didattico dal materiale all’immateriale, dall’oggetto alla storia (e alle storie), nel senso del recupero di quella complessa trama di relazioni che stanno a ridosso dei reperti esposti.

Se è esatto quanto rileva Cirese, che nella dimensione museografica l’oggetto passa da oggetto a documento di sé stesso, cioè dalla dimensione del vissuto (e del pragmatico) a quella del rappresentato (e del simbolico), mi sembrava di enorme interesse compiere l’operazione inversa, cioè tentare di ricondurre i materiali museografati (inerti) alla cultura del reale e dell’esperienza che li ha prodotti, cioè alla vita popolare e alla concretezza (dinamica) della storia di un preciso territorio.

Da queste premesse nacque il corso di formazione per la ricerca etnografica sul territorio, in cui avevo proposto agli studenti quattro filoni di lettura:

  1. Dall’analisi dell’oggetto alla identificazione del suo uso nelle attività quotidiane e al rapporto fra oggetto e lavoro, oggetto e ritualità all’interno della società e della cultura contadina. Cicli produttivi (frumento, mais, vite, allevamento…). Quotidianità/non quotidianità, Festa e Fatica nel mondo contadino preindustriale;
  2. Dalla ricognizione dell’oggetto, all’appropriazione e alla comprensione delle tecniche di lavoro usate un tempo e dei modi di vivere. L’indispensabile ricorso alle fonti orali per restituire un “vissuto” a dei reperti altrimenti muti e incomprensibili per dei giovani di oggi;
  3. Dalla lettura dei reperti alla deduzione dei processi sociali, economici e culturali sottostanti. Stratificazione sociale, valore economico e sociale, processi costruttivi e distributivi, valenza simbolica degli oggetti;
  4. Raffronto ieri/oggi. Dall’oggetto alla memoria e all’immaginario. Come debellare le fallaci nostalgie per il perduto paradiso del tempo passato. Dall’oggetto alla storia e alle storie: esempi di recupero e ricreazione in chiave poetica e teatrale di “quel mondo” che usava e viveva in mezzo a “quegli oggetti”: le poesie dialettali di Giovanni Rapetti e le “Memorie del gelso” di Marco Baliani.

La formazione teorica ottenuta con il corso ha avuto poi modo di esplicarsi concretamente con la realizzazione di una ricerca che, partendo dall’analisi di alcuni oggetti museali significativi, ne ha inteso approfondire valenze e funzioni, ricostruendo nello stesso tempo il contesto storico, sociale e antropologico di appartenenza. In questo secondo modulo gli studenti, organizzati in gruppi con ricercatori universitari come tutors, hanno effettuato interviste e raccolto materiale documentario, iconografico e audiovisivo.

Ora, leggendo queste pagine (soprattutto quelle frutto del lavoro degli studenti, come il cap. 4, La voce dei ricordi), ci si accorge di quanto la ricerca sul campo abbia coinvolto i ragazzi e di come li abbia “stregati” il contatto diretto con l’umanità dei testimoni, fatta di “incontri, emozioni, sguardi”, dove il passaggio del ricordo avviene attraverso “il risuonare di voci vive: esitanti, decise, sognanti, perplesse, pacate, scherzose o venate di malinconia” (p. 43).

Considerazioni che ci fanno constatare quanto forte e irrimediabile sia lo scarto con la comunicazione meccanica, artificiale, omologata, mediatica cui sono abituati i giovani.

D’altra parte, però, la trappola del coinvolgimento emotivo può portare ad appiattirsi sui modi espositivi del testimone nonché su una rappresentazione del passato che spesso, nell’anziano, si basa sulla semplicistica dicotomia “ieri/oggi”, “una volta / adesso”, dove l’accento posto sugli aspetti esistenziali della soggettività e della quotidianità sconta una debole contestualizzazione sull’asse cronologico e storico.

Parallelamente al corso e alla Ricerca, l’Isral e il Centro Ferraro, col patrocinio della Provincia di Alessandria, organizzarono un ciclo di conferenze sui temi connessi con la ricerca demoetnoantropologica, facendo intervenire alcuni ricercatori e studiosi di fama nazionale. Tali incontri pubblici, seguiti da un pubblico numeroso e interessato, hanno accompagnato lo svolgimento del Corso e contribuito al suo arricchimento sul piano scientifico e metodologico.

  • 21 novembre 2002, Museo della Gambarina, Poesia dialettale e musica popolare, incontro con il poeta scultore Giovanni Rapetti, interprete della memoria contadina e con il Gruppo musicale Calagiubella;
  • 16 aprile 2003, Museo della Gambarina. Gian Luigi Bravo, Italiani: mutamenti e processi culturali. Presentazione del libro: G. L. Bravo, Italiani. Racconto etnografico (Roma, Meltemi) Introduce Maria Luisa Bianco, preside della Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”;
  • 20 maggio 2003, Salone di Palazzo Guasco. Piercarlo Grimaldi, Tempi e spazi della memoria contadina. A proposito di Musei etnografici e del territorio;
  • 28 maggio 2003, Teatro Parvum, Canti popolari del vecchio Piemonte: dalle ballate contadine al canto urbano e operaio. Esibizione del Coro di Bajo Dora, diretto da Amerigo Vigliermo, del Centro Etnologico Canavesano.

Voglio chiudere queste note con alcune impressioni, che mi confermano nell’idea che la provincia di Alessandria sia un “osservatorio etnografico” privilegiato (per ragioni storiche, geografiche, etnolinguistiche, antropologiche) e di come bisognerebbe maggiormente sfruttare tale caratteristica, che porge infinite possibilità conoscitive e didattiche.

Mi riferisco alla partecipazione alla questua rituale della “Lachera” di Rocca Grimalda in un luminoso pomeriggio di Carnevale di alcuni anni fa. Sulle splendide colline dell’Ovadese, il variopinto corteo dei mascheri danzanti portava nelle frazioni e nei cortili delle cascine le musiche frizzanti e i lazzi apotropaici che i contadini esigono ad ogni inizio di stagione. Ad ogni “tappa”, generose offerte di bevande (siamo nella patria del dolcetto) e di camapagnole vivande, così come vuole la tradizione del semel in anno.

Gli studenti della classe 3 BCS del “Saluzzo” , accompagnati dai loro docenti e dai tutors, dapprima un po’ spaesati, poi gioiosamente rapiti, sono stati così direttamente coinvolti in una delle manifestazioni più antiche della cultura popolare locale (1), manifestazione che avevano imparato a conoscere nel primo modulo del progetto, con documentazione storica e audiovisiva.

Era sabato 22 febbraio 2003, e con questa full immersion in un evento folklorico arcaico e vitalissimo, decollava il secondo modulo del progetto “Vivere la memoria”.

Nel mondo omologato e globalizzato di oggi, c’è bisogno di memoria, ma di una memoria non inerte. Di quella memoria da cui nascono i sogni, le favole, la conoscenza.
In fondo, questa esperienza pedagogica ha messo a frutto positivamente quanto scriveva uno che di miti e di memoria se ne intendeva, Cesare Pavese:
“ Avere una tradizione è meno che niente: è solo cercandola che si può viverla”.


Franco Castelli

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria
Centro di cultura popolare “G. Ferraro”

Nota
1) Franco Castelli, La danza contro il tiranno. Leggenda, storia e memoria della “Lachera” di Rocca Grimalda, Comune di Rocca Grimalda, Accademia Urbense, Ovada 1995.