Quaderno di storia contemporanea n. 36

4 January 2005

In questo numero
di 
Laurana Lajolo

La redazione del «Quaderno di storia contemporanea» ha da tempo avviato una riflessione sul ruolo della rivista e sulla sua destinazione di pubblico e ha scelto di aprirne le pagine al contributo di giovani storici, dottorandi di ricerca presso le università territorialmente più prossime ad Alessandria.

La rispondenza da parte dei ricercatori e dei docenti – come crediamo dimostri questo numero – è stata molto buona ed è possibile che il «Quaderno di storia contemporanea», continuando in questa direzione, possa diventare un osservatorio e un laboratorio dello stato attuale della ricerca storica in sede accademica.

Stiamo, inoltre, lavorando a un seminario sull’anticomunismo come categoria storica per interpretare le vicende che hanno caratterizzato l’avvio della democrazia in Italia tra il 1945 e il 1948.

Lo spunto è venuto dal volume curato da Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica (Milano, Bompiani, 2004) che presenta documenti degli archivi americani descrittivi della situazione italiana nell’immediato dopoguerra. Il modello interpretativo, che Tranfaglia sottolinea nella sua introduzione, è che uno dei principali attori della politica italiana è stato l’anticomunismo, che, sostenuto in modo efficace dall’ingerenza degli Stati Uniti nel nostro paese, condusse in forme diversificate all’emarginazione dei partiti della sinistra e della classe operaia.

Si tratta di una interpretazione chiaramente in controtendenza rispetto a certa pubblicistica attuale che enfatizza, al contrario, l’egemonia comunista nella società e nella cultura italiana di quel periodo.

Il seminario, programmato per il mese di marzo in collaborazione con l’Università del Piemonte Orientale, vedrà la partecipazione di giovani studiosi, autori di ricerche originali sull’argomento, e l’intervento di docenti universitari (hanno già dichiarato la loro disponibilità Aldo Agosti, Bruno Bongiovanni e Maurilio Guasco, Paolo Soddu e Nicola Tranfaglia). Alla sua conclusione, una tavola rotonda fra gli storici invitati farà il punto sulle questioni affrontate. La rivista pubblicherà gli atti del seminario nel corso del 2005.

Coerentemente con questa direttrice di lavoro, la redazione promuove un concorso – di cui pubblica in questo numero il bando – per due saggi sulla storia di Alessandria e la sua provincia dopo la seconda guerra mondiale, che rappresentino un contributo originale alla conoscenza storica del nostro contesto locale alla luce delle grandi problematiche del presente.

Si è scelto di intitolare il concorso alla memoria di Carlo Gilardenghi, tributando così un affettuoso omaggio oltre che al Carlo Gilardenghi politico e intellettuale, all’uomo Carlo Gilardenghi, maestro di umanità per più di una generazione di collaboratori dell’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, di cui fu fra i fondatori e primo, “storico”, Presidente.

La sezione STUDI E RICERCHE di questo numero rispecchia già il nuovo orientamento che si intende imprimere alla rivista. Ad essa hanno infatti collaborato quattro giovani studiosi che stanno svolgendo il dottorato
di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino.

Paolo Di Motoli affronta la storia, assai poco conosciuta, del partito comunista israeliano oscillante tra una strategia di rivoluzione unitaria di ebrei e di arabi, insieme nello stesso partito, e la strategia di arabizzazione voluta da Stalin, spinta fino ad assumere dichiarate posizioni antisioniste e poi al fallimento del partito (1964-65).

Fa così emergere le contraddizioni, e gli elementi connotanti un’esperienza assolutamente anomala e difficile di un partito internazionalista e multietnico nel crogiolo di contrasti che caratterizzò la nascita e il consolidamento dello Stato d’Israele.

Barbara Costamagna si affida alle testimonianze da lei raccolte e a una lettura intelligente della memorialistica ebraica sulle leggi razziali e sulla persecuzione, per ricostruire il percorso degli ebrei torinesi, caratterizzati da un buon livello di integrazione e di assimilazione, attraverso gli anni del razzismo fascista, e le strategie da essi adottate per sottrarsi alla deportazione.

Con senso critico e fine sensibilità Costamagna delinea l’itinerario della persecuzione, affrontando gli elementi di ostilità e di intolleranza delle comunità italiana, ma nel contempo mettendo in evidenza come siano state proprio le reti sociali, cioè la protezione e l’aiuto generoso di parte della popolazione, a salvare molti ebrei.

Daniela Muraca fa una ben documentata ricognizione a tutto tondo sulla presenza complessa e contraddittoria di Angelo Tasca nella storiografia e nella saggistica, attraverso la conoscenza approfondita del suo archivio, conservato presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

L’attenzione è puntata sulla critica di Tasca alla politica stalinista. Molto stimolante poi il saggio di Cesare Panizza che ha studiato l’elaborazione di Nicola Chiaromonte (La morte si chiama fascismo, 1935) riguardo alla fascistizzazione della società italiana, anche in riferimento al quadro europeo, e alla conseguente ridefinizione della strategia dell’antifascismo.

Nicola Chiaromonte, amico di Carlo Rosselli e di Carlo Levi, collaboratore dei «Quaderni di Giustizia e Libertà», considera il fascismo come un fenomeno inedito della società italiana, quale risultato della decomposizione del vecchio stato dopo la prima guerra mondiale e dell’ottundimento della classe dirigente, aggravato dalla condizione passiva ed immatura delle masse nei confronti del leader carismatico.

Giunge, quindi, alla conclusione che la dittatura è fragile, perché è basata sulla repressione preventiva più che sul ruolo coagulante del partito, e prevede l’autodistruzione del fascismo, e di conseguenza della classe borghese che lo sostiene, con la guerra in quanto sbocco “naturale” di quel sistema.

La lettura di questo saggio non è solo storicamente interessante, ma offre spunti per una riflessione sui comportamenti populistici dell’attuale governo che ispirano per esempio la logica della maggioranza parlamentare in merito alla riforma della Costituzione, attualmente la questione più importante della democrazia italiana.

Certe ottusità e certe inadeguatezze anche delle forze di opposizione del passato sembrano riproporsi, seppure con connotazioni differenti, nel nostro presente. In questo senso il saggio di Panizza su Chiaromonte può essere anche una chiave di lettura di certi aspetti della situazione politica attuale utile a capire alcuni passaggi estremamente rilevanti per la continuità/discontinuità della nostra democrazia.

La riforma della Costituzione non è infatti soltanto un problema di architettura istituzionale, ma tocca i fondamenti della nostra democrazia, nata come forma politica partecipata in opposizione al fascismo in tutte le sue forme.

Le singole riforme istituzionali, spesso non inserite in un disegno complessivo, hanno portato, non senza incoerenze e contraddizioni, a modificare le funzioni e le autonomie degli organi dello Stato e a delineare forme di concentrazione presidenziale del potere, prendendo come esempio altri modelli istituzionali, estranei alle tradizioni politiche, civili e culturali del nostro regime repubblicano.

A proposito di riforma della Costituzione nella sezione NOTE E DISCUSSIONI pubblichiamo un aggiornamento sull’approvazione dello Statuto della Regione Piemonte a cura di Maria Rovero e Marco Valerio, mentre un intervento assai ben documentato di Francesco Pallante delinea lo stato della discussione sugli Statuti nelle diverse regioni italiane.

Nella stessa sezione Graziella Gaballo in un saggio scritto con grande attenzione e spirito critico offre ai lettori un percorso storiografico sulla storia delle donne nel periodo fascista che per la sua completezza e per gli spunti di riflessione in esso presenti indubbiamente rappresenta un utile e interessante strumento per la storiografia di genere.

L’INSERTO FOTOGRAFICO di questo numero è dedicato al decennale dell’alluvione che nel novembre 1994 colpì il basso Piemonte e in particolare, con effetti tragicamente disastrosi, la città di Alessandria. Molte le iniziative editoriali con cui in questi mesi la città ha voluto ricordare quel traumatico avvenimento.

Il «Quaderno» ha scelto di farlo attraverso le fotografie scattate qualche mese dopo l’alluvione da Riccardo Massola e il commento di Luciana Ziruolo. I segni dell’acqua sugli edifici mantengono in modo suggestivo una memoria materiale estremamente significativa dell’evento.