Carlo Gilardenghi, un uomo onesto*

10 September 2003

Una lucida passione, una volontà di razionalità e di azione coerente venivano a Carlo Gilardenghi da lontano, da quanto aveva assorbito fin da ragazzo dal suo maestro comunista Giuseppe Burzi, implicato con Ottavio Maestri e Walter Audisio negli arresti del 1934, e dall’altro comunista l’appassionato ed esuberante musicista Dante Mandirola.

Venivano dai suoi libri di bravissimo studente e di accanito lettore, dalla sua ricerca nella città di un contatto prima con l’opposizione antifascista poi, decisamente, con quella comunista. Lo conobbi infatti a casa mia in un incontro con mio padre Ottavio e, sapendomi studente, mi chiese in particolare se mi piaceva Aristotele. Trovo in questo un’indicazione della sua vocazione razionalistica che lo porterà, accanto ad un forte senso storico, a Marx e poi a Gramsci.

Il suo curriculum lo conosciamo: organizzatore del Fronte della gioventù, legato ai Gap di Alessandria e poi partigiano combattente e commissario politico della 108 Garibaldi, divisione Pinan Cichero, nel dopoguerra a lungo consigliere comunale e assessore alla cultura, vivo e agguerrito nei numerosi dibattiti politici e culturali della provincia, fra i fondatori dell’Istituto storico della Resistenza e suo Presidente e autore di interventi e saggi e memorie soprattutto nei “Quaderni” dell’Istituto.

Contemporaneamente presente nella vita dei PCI alessandrino e membro del suo Comitato federale con contributi memorabili.

Ma questo suo curriculum non può essere risolto con un semplice elenco cronologico, vorrei dirvi la sua presenza umana, lo spirito con cui affrontava i problemi. Cogliere in lui la particolarità dell’intellettuale gramsciano per l’interesse alla storia e alle sue aggregazioni politiche e culturali, per la convinzione che il marxismo doveva arricchirsi di analisi e proposte concrete e di adesione ad una politica di vaste alleanze e di ampia partecipazione democratica, del resto in linea con il PCI.

La sua passione per la storia e la politica si nutriva infatti di una riflessione razionale e critica capace di affrontare le cose con una chiarezza gremita di cultura, di ricerca, di attenzione alle alternative. Era sua fede che la conoscenza e la lotta potessero migliorare la società, ed era fede lontana da ogni schematismo o estremismo e “malattia infantile”. I suoi interventi non furono mai a braccio, studiava e si preparava accanitamente, i suoi schemi, i suoi appunti ordinati e circostanziati ne fanno fede.

Vorrei ricordare come si collocava, parlando, davanti ai problemi: l’atteggiamento del suo volto pensoso e serio, ma insieme disteso, quel suo aprirsi in un sorriso ironico quando arrivava alle contraddizioni dell’avversario, solidale quando approvava le idee degli altri. Esponeva chiaro e sciolto, ma non di una chiarezza schematica, ché si avvertiva il travaglio della riflessione, la valutazione dei pro e dei contro. E la sua ironia stava appunto nel sottolineare l’incoerenza, la bizzarria paradossale di certe opinioni.

Sapeva anche essere tagliente, severo e accanito, quando avvertiva l’importanza di certe conclusioni, senza tuttavia uscire dalla misura dell’ironia e del rispetto.

Con queste sue caratteristiche si collocava fra gli intellettuali che la sinistra di questa città ha saputo dare e penso a Lozza, a Mantelli, a Wanda Ajassa, a Giorgio Guazzotti e più avanti ad Adelio Ferrero e a Giorgio Canestri.

Intellettuali che devono rimanere nel nostro DNA e che si collegavano non provincialmente alle grandi figure della sinistra nazionale per passione politica e senso storico e vigore culturale, e penso a Togliatti, ad Amendola, ad Ingrao, a Morandi, a Basso.

E’ stato appassionatamente e lucidamente vivo fino a questi giorni, anzi nella sua verde vecchiezza ha persino affinato interessi e capacità di comprensione.

Non posso dimenticare le sue ultime prove così intense e chiare in questo nostro panorama nazionale oscuro e confuso: la celebrazione del 25 aprile di quest’anno, l’intervento accanto al vescovo Charrier sulla pace.

Ho sbagliato a dire “celebrazione”: erano discorsi argomentati, che nascevano non solo dall’adesione a scottanti temi comuni , ma da un intimo colloquio e travaglio e da una ferma soluzione.

Io ti ringrazio, Carlo, per averti conosciuto, per essermi stato compagno e amico e aver molto imparato da te.

Questa città ti ringrazia per la conoscenza e la partecipazione ai suoi problemi, per la ricchezza dei suggerimenti, delle proposte, degli interventi.

La sinistra ti ringrazia per il tuo impegno costante, prima nel P.C.I., poi nei suoi più mossi schieramenti, per il rigore onesto con cui hai partecipato ai suoi dibattiti, alle sue scelte.

E ti ringrazia la cultura alessandrina per il tuo esempio di razionalità misurata, critica e ironica.

Qualcuno mi ha detto che ti aveva in simpatia perché eri “onesto”. E ha dato una giusta definizione.

Onesto in tutto, nella rigorosità morale e civile, nel vigore delle argomentazioni, nella calma virtù del dire sì sì, no no.

Ci manchi, Carlo, ma anche rimani fra noi, nella mente e nel cuore di chi ti ha incontrato, ti ha ascoltato, ti ha letto, e di chi ti leggerà.

Ora vai, hai bene meritato, ti sia leggera la terra.