IN TEMPO DI GUERRA | Alessandria 1911- 1945

9 May 2003

IN TEMPO DI GUERRA: più di quattrocento fotografie originali, quasi tutte inedite, provenienti da collezioni private e da archivi pubblici italiani, inglesi, americani, brasiliani, sei filmati dell’Istituto Luce, un filmato girato negli anni ’30 da un alessandrino, i manifesti originali del periodo, una colonna sonora raffinata, e due video realizzati per l’occasione.

Queste le caratteristiche di una grande Mostra fotografica organizzata in collaborazione fra la Fototeca civica del Comune di Alessandria, l’Archivio di Stato, l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in Provincia di Alessandria e la Società di Storia, Arte e Archeologia con lo scopo di recuperare e proporre una parte consistente della nostra memoria fino a ora rimasta chiusa nei cassetti e nei ricordi privati.

L’idea della Mostra è nata dalla constatazione dell’esiguità delle fonti iconografiche disponibili presso i collezionisti e gli archivi pubblici: possibile che di una storia travagliata che ha coinvolto profondamente la città e i suoi abitanti rimanessero tracce tanto esigue?

La questione toccava profondamente il senso stesso della Fototeca civica, un’istituzione nata proprio con lo scopo di raccogliere, conservare e rendere disponibile il patrimonio iconografico riguardante Alessandria e il suo territorio.

Di qui è nata l’ipotesi della probabile esistenza di una vasta quantità di tracce e di memorie fissate dalla macchina fotografica ancora sconosciute: molti di coloro che hanno vissuto questi fatti sono ancora vivi o, almeno, lo sono i loro figli e nipoti e, per lo meno dagli anni Trenta, la macchina fotografica ha svolto un ruolo di documentazione e di memoria sempre più evidente.

Si è allora iniziata una campagna di ricerca delle fonti fotografiche e cinematografiche che si è svolta su due direttrici principali: la ricerca di persone che hanno vissuto i fatti in qualche modo da protagonisti, sorta di testimonial storici cui chiedere di frugare nei propri archivi o in quelli di persone da loro conosciute, e la ricognizione sistematica di fondi d’archivio conservati da istituzioni e associazioni non solamente in Alessandria, ma anche nel resto d’Italia e all’estero.

Abbiamo escluso una sola metodologia di ricerca, quella dell’appello pubblico, che ci appariva pericolosa, potendo oscillare fra la risposta ridondante e quella scarsamente significativa. Preferiamo, invece, giungere al risultato attraverso l’esempio concreto di cosa si può fare con le foto dei privati. I risultati quantitativi sono stati superiori alle nostre più ottimistiche aspettative: 57 fondi privati e pubblici censiti per un totale di più di tremila fotografie, di cui almeno 400 saranno esposte in una mostra che avrà caratteristiche molto particolari.

Il visitatore inizierà il suo percorso a ritroso nel tempo partendo dal parco di via Cavour attraverso una doppia fila di grandi immagini verso un’entrata che, ampia all’apertura, si restringe via via fino a portarlo in una lunga e tortuosa Galleria del tempo.

Qui il visitatore entra in una dimensione particolare: lo spazio ristretto, la luce bassa, le frequenti svolte hanno lo scopo di concentrare la sua attenzione sulla Barra del tempo che gli racconta i fatti e gli avvenimenti dal 1911 al 1945 e sugli Schermi della memoria, su cui scorrono i filmati su Alessandria realizzati dall’Istituto Luce, dal 1928 al 1942. Poi il visitatore scende per una scala che lo porta alla Sala delle immagini (per i disabili c’è un comodo ascensore e un percorso completamente libero da barriere architettoniche.

L’impressione è di una grande nicchia nascosta dalla quale escono le immagini del nostro passato recente, volti, personaggi, situazioni che sembrano emergere dal limbo del tempo per raccontarci le loro storie, vicende pubbliche e private: foto dal fronte, qualche volta l’ultimo saluto dal Don prima del terribile inverno russo, immagini di casa, apparentemente serene, per tranquillizzare e far sentire meno solo il congiunto lontano, ma anche foto di marce, di parate, di adunate, di scampagnate, di feste, di balli, di sport, di teatro.

Poi le immagini del sogno africano, dalla Libia, all’Etiopia, all’Africa Settentrionale, donne bellissime dal seno nudo, guerrieri, cammelli con improbabili e teneri alpini in arcione. E ci sono gli aerei, il mito di un’intera epoca, i piloti che sembrano Luciano Serra, le macchine volanti e i loro equipaggi, gli aerei caduti come grandi uccelli contorti sul campo di battaglia.

Ci sono tutti in queste immagini: le crocerossine, bianche, in Africa, Russia, sui monti della Grande Guerra, sui treni e sulle navi ospedale; i carabinieri, in pattuglia, di guardia, mentre saltano altri carabinieri in incredibili e fantasiosi esercizi ginnici, i legionari allegri in partenza per l’Etiopia, le Giovani Italiane che guidano il trattore, l’altoparlante che, dal Comune, sembra dare la linea a una città schierata sull’attenti, gli alpini sull’Adamello, i fanti in Macedonia, le Brigate internazionali in Spagna, la solitudine di un capodanno spagnolo del 1937.

Ci sono, poi, le immagini della tragedia: la città plumbea del ’44-’45, i soldati di Salò, i tedeschi in visita (!) alla cella di Andrea Vochieri, le cerimonie solitarie davanti al monumento ai caduti, gli ebrei costretti al lavoro coatto, al cimitero, ai bastioni, e le immagini di chi, partito per Auschwitz, non è mai tornato.

E poi le foto della Liberazione, i camion con le bandiere partigiane che entrano in città, il palazzo Ghilini presidiato da soldati senza divisa, un’Italia che sembra uscire improvvisamente alla luce dopo anni di buio. E i brasiliani, gli americani, con i loro Sherman e le jeep in piazza della Libertà, i soldati dalla pelle scura che arrivano da molto lontano, impettiti con la loro uniforme comoda e ricca, il pilota abbattuto sulla stazione il 26 aprile del 1945, tre giorni prima che tutto finisse.

Le foto, tutte originali (le pochissime copie sono state inserite solamente quando è certo che l’originale sia andato perduto o non sia rintracciabile) sono sistemate in pannelli a tema come a tessere una trama di fatti e situazioni, non a raccontare la Storia di Alessandria, ma molte storie di gente comune.

Qualcuna è ingrandita, talvolta solo in un particolare: due uomini che giocano a carte a poca distanza dal nemico, un soldato che prende il sole appollaiato su una scala, tre crocerossine dalla lunghe gambe di attrici americane sul ponte di una nave ospedale. Sembrerebbe un’immagine tratta da una crociera se non fosse che la stessa nave da li a poco, sarà attaccata dagli aerei nemici.

Le stesse foto dei pannello scorrono su un grande schermo al fondo della Sala in un continuo alternarsi di bianco-nero senza parole. C’è musica, in sala, ed è musica di guerra antica, del Cinque-Seicento, lontana dagli avvenimenti narrati come più non potrebbe essere, come ne siamo lontani noi e, al tempo stesso, vicina, coinvolgente, e frutto dell’attività di gente di oggi, musicisti che hanno lavorato con noi, oggi, a far rivivere il mondo di una piccola città coinvolta in fatti più grandi di lei.

Una città che ha pagato un prezzo altissimo, assurdo: le immagini dei bombardamenti, le foto della ricognizione inglese, gli obiettivi dei servizi segreti francesi, le analisi degli americani, le case sventrate, le strade per aria, poche persone che si aggirano smarrite, le immagini fissate dall’obiettivo di un pompiere che partecipava ai soccorsi, tutte scorrono in un video creato per l’occasione.

Fuori, sui muri delle case (in molti casi le stesse che abbiamo visto nelle fotografie) il manifesto della mostra: un giovane pilota davanti al musone del suo aereo, sorridente (alla fidanzata?), fiducioso, sicuro nei suoi vent’anni di impersonare un mito.