La deportazione degli ebrei alessandrini: le Comunità di Alessandria, Acqui e Casale

di Cesare Manganelli e Bruno Mantelli

(tratto da “Antifascisti, partigiani, ebrei. I deportati alessandrini nei campi di sterminio nazisti 1943-45”, Franco Angeli, Milano, 1991)

L’esterno della sinagoga di Alessandria

L’interno della sinagoga di Alessandria

Le dimensioni e le forme dello sterminio operato dal regime nazista sono stati oggetto di studio e di indagine fin dall’immediato dopoguerra e in alcuni casi già durante il periodo bellico (1). La volontà da parte nazista di portare a termine il genocidio dell’,intero popolo ebraico non è più materia di discussione, in campo storiografico, da molti anni; tuttavia alcune polemiche recenti di carattere più politico che storico hanno di nuovo messo al centro del dibattito europeo la questione delle forme dello sterminio messo in opera dai nazisti. In alcuni casi si è cercato di relativizzare questa incontrovertibile realtà storica paragonandola con differenti casi di persecuzione di massa o vero e proprio genocidio; altre volte si è tentato di istituire un nesso fra nazismo e bolscevismo che faceva del primo una mera «reazione» al secondo.
Val la pena di notare che da molte parti, tanto sul piano etico e filosofico quanto su quello più propriamente storiografico, si è risposto con veemenza a queste tesi banalizzanti, che-hanno suscitato un dibattito particolarmente vivace proprio in quella Germania che ha fatto del rapporto con il proprio passato il cardine della sua identità attuale.
Il carattere aspro e ricco di passione civile che la discussione ha assunto mostra quanto il nazionalsocialismo, i fascismi, ed il giudizio che su di loro si dà, costituiscano ancora un punto chiave nella coscienza dell’Europa contemporanea ed un elemento centrale di confronto fra le diverse correnti culturali. (2) Per riprendere il nostro più specifico tema, il destino delle comunità di Alessandria, Casale e Acqui ci appare intimamente legato a quello dell’intera comunità ebraica italiana e ci sembra un significativo capitolo, spesso sottovalutato, della storia provinciale e nazionale. Di fronte alla dimensione di massa del genocidio, in particolare nell’Europa centrale ed orientale, la deportazione degli ebrei alessandrini può sembrare un evento di scarsa rilevanza quantitativa, così come il tentarne una sia pur sommaria ricostruzione può apparire un granello insignificante di fronte alla vastità ed alla profondità dei dibattito sullo sterminio; siamo però convinti che la raccolta delle poche cronache e notizie disponibili sugli ebrei della provincia e sulla loro sorte dopo l’8 settembre 1943 rappresenta, forse, il contributo più significativo che questa nostra indagine può portare alla storia dell’Alessandrino nel periodo di Salò. (3) La scarsa conoscenza che abbiamo della vita culturale, sociale, ed economica delle comunità ebraiche della provincia non ci consente uno sguardo su ciò che accadde al loro interno e sui loro rapporti con il resto della popolazione all’indomani della promulgazione della legislazione antiebraica nell’autunno del 1938.
Possiamo soltanto avanzare l’ipotesi di un sostanziale silenzio delle comunità di fronte alle leggi antiebraiche: le prime indagini del ministero dell’Intemo, nel novembre del 1937, ci restituiscono una immagine, non sappiamo quanto veritiera, di comunità sostanzialmente leali nei confronti del regime; in due diverse lettere il ministero richiese informazioni dettagliate sui rabbini di Alessandria e Casale Monferrato. (4) 1 rapporti di polizia che furono stilati in quell’occasione, assai schematici per la verità, non rivelarono comportamenti e atteggiamenti inquietanti o pericolosi verso l’autorità. Un rabbino risultò iscritto al PNF e l’altro, pur non essendo iscritto, «non [aveva] mai dato luogo a rilievi o a sospetti», come recita il pesante linguaggio burocratico. Dopo questa prima richiesta di informazioni Roma, nel settembre del 1938, sollecitò bruscamente il prefetto di Alessandria perché provvedesse ad inviare gli elenchi dei membri delle comunità che avevano sede nella provincia.
Le liste vennero preparate in un mese e poi spedite; attraverso quelle carte possiamo valutare la consistenza e la composizione delle singole comunità, anche se gli elenchi furono compilati in modo non omogeneo e seguendo criteri fra loro differenti.
Per quanto riguarda Alessandria troviamo censiti i gruppi familiari, di ogni componente dei quali sono indicati, oltre al nome e cognome, la data di nascita, lo stato di famiglia e, in alcuni casi, il luogo di nascita, la professione e la religione professata. L’analisi di questi scami elementi ci permette di avanzare alcune considerazioni generali: a) le 102 famiglie schedate sono, in grande maggioranza, originarie della provincia o addirittura della città, segno indubbio di un profondo radicamento della comunità nel tessuto sociale e civile urbano; b) abbastanza numerosi sono gli spostamenti e i cambi di residenza avvenuti negli anni Trenta [16], ma un solo ebreo alessandrino emigrò in quel periodo in Palestina; c) accanto ai nomi di persone considerate «poco affidabili» per il regime compaiono alcune notazioni di carattere politico, culturale, religioso. Ne diamo alcuni esempi: Cesare Boffi- libero pensatore; Bona Boffi – nessuna religione; Ugo Comba – libero pensatore; Torre Emesto – [ex dirigente del Fascio locale] – abiurato. (5)
Per quanto riguarda le comunità di Casale ed Acqui, negli elenchi gli iscritti sono elencati singolarmente [1051 e mancano completamente riferimenti o giudizi politici sul «comportamento» degli ebrei locali (6); nel 1940 a Casale erano soltanto in 79, numero che si ridusse ulteriormente nel periodo 1942-43; dopo l’8 settembre la maggioranza si rifugiò nei paesi vicini o prese la via della Svizzera. 1 pochi rimasti, anziani e malati, furono reclutati per il lavoro obbligatorio; molti di loro diedero credito a voci che circolavano in città, voci che favoleggiavano sull’esistenza di una ordinanza che avrebbe esentato anziani e inabili dalla deportazione; per non essere molestati sarebbe bastato farsi registrare dalle autorità di P.S. La maggioranza, obtorto collo, aderì all’invito, e ciò mise in grado la polizia repubblichina di stendere un elenco aggiornato, rispetto a quello del 1938, degli ebrei residenti in città, copia del quale fu immediatamente trasmesso alle autorità germaniche. La fiducia riposta da parte degli anziani ebrei, malgrado tutto, in chi si presentava come il rappresentante della legalità venne così ricambiata consegnandoli alla SS.
Per i nazisti il compito di arrestare tutti gli ebrei di Casale fu molto semplificato dal lavoro svolto dalla polizia italiana a partire dal 1938; inoltre non fu molto difficile o pericoloso l’arresto di Sanson Segre, nato nella città monferrina nel 1866, che fu trascinato fuori dal letto – gli era stata amputata una gamba per una grave forma di diabete – e trasferito nelle carceri di Torino. (7) Tra le 18 persone arrestate a Casale gli anziani erano la maggioranza, senza contare il Segre queste erano le classi di età:

1868-1876: 8

1876-1892: 6

I rastrellamenti furono due, il primo avvenne nel febbraio del 1944, gli arrestati furono 7, e vennero inviati al campo di transito di Fossoli di Carpi; il secondo fu effettuato nell’aprile dello stesso anno e in questo caso gli arrestati furono 6, inviati immediatamente alle Carceri Nuove di Torino e poi anch’essi a Fossoli, da dove, il 16 maggio, furono trasferiti nel Reich. Altri 5 deportati vennero catturati in tempi diversi ma non durante i rastrellamenti; un solo casalese è ritornato dai campi di sterminio.
Il Tempio ebraico fu spogliato degli arredi sacri, lampadari e ogni altro oggetto asportabile; fu poi svaligiata la cassaforte, che conteneva l’intero patrimonio della comunità.
Anche le case degli ebrei alessandrini furono occupate, devastate e saccheggiate dai fascisti e dalle truppe tedesche che le avevano requisite. Il tempio di Alessandria fu gravemente danneggiato, l’archivio della comunità interamente distrutto e le due biblioteche, ricche di libri e preziosi manoscritti, completamente disperse. Il saccheggio fu opera dei fascisti di Alessandria nel dicembre del 1943; vale la pena di riportare la frase che Cabella, squadrista genovese e direttore del giornale più ferocemente antisemita e antipartigiano della RSI «Il Popolo di Alessandria», scrisse sul registro della comunità: «A ricordo di un bubbone estirpato da squadristi e ufficiali di Alessandria». (8) I deportati da Alessandria furono in quell’occasione 11, altri 6 furono arrestati in città nel corso del 1944 ed inviati anch’essi a Fossoli. Molti ebrei alessandrini riuscirono a sfuggire alla macchina di morte nazista, lasciando la città e cercando scampo in Svizzera, in Toscana e nelle vicine montagne; parecchi di loro parteciparono al movimento di resistenza.
Gli ebrei di Acqui Terme deportati furono 15, molti considerato la dimensione ristretta della comunità; fu una svolta decisiva, l’inizio della fine: nel dopoguerra la comunità scomparve. (9) Complessivamente gli ebrei nati in provincia di Alessandria che vennero deportati in KL furono ben 101.
La distruzione di una comunità, il grave indebolimento delle altre due, in particolare quella di Alessandria, 101 deportati; tale è il bilancio immediato della deportazione degli ebrei alessandrini (10), un prezzo molto alto, pagato da una comunità composta nel 1938 da poche centinaia di persone (357 in tutto, secondo gli elenchi in possesso della polizia), un prezzo che ne ha sconvolto il profilo demografico, sfigurandone la fisionomia più intima.
Osservando le cose a quarantacinque anni di distanza si vede come la vicenda della deportazione ebraica locale sia stata ampiamente sottovalutata nelle sue dimensioni quantitative e per quanto riguarda lo strappo culturale che ne è seguito. L’indebolimento e, in un caso, la distruzione delle comunità ha arrecato gravi danni a tutto il tessuto culturale e civile provinciale; per di più questa trage­dia non è mai stato ricostruita, rivissuta, trasformata in parte della memoria collettiva, come è accaduto, invece, per altri momenti della storia dell’occupazione nazista e del movimento di liberazione nella nostra provincia. Né le forze politiche che si richiamano all’antifascismo né le istituzioni locali che rappresentano la Repubblica si sono finora preoccupate di elaborare il lutto per gli ebrei alessandrini.

NOTE

1. Una bibliografia generale sulla sterminata produzione storiografica sulla deportazione nei campi di sterminio nazisti e sulle politiche di annientamento messe in opera dal 111 Reich sta in Andrea Devoto, Bibliografia dell’oppressione nazista fino al 1962, Firenze, Olschki, 1964 e Idem, L’oppressione nazista, considerazioni e bibliografia, Firenze, Olschki, 1983; sul genocidio del popolo ebraico ci limitiamo a ricordare Leon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi, 1961 (1951) e Raul Hillberg, The Destruction of the European Jews, Chicago – London, Quadrangle – Allen, 1961. Una bibliografia agile e dal taglio divulgativo è quella dell’ANED, Bibliografia della deportazione, Milano, Mondadori, 1982. Sull’occupazione nazista in Italia il testo di riferimento è Collotti, L’amministrazione …. cit.

2. Le diverse posizioni sono esposte in Gian Enrico Rusconi (a cura di), Germania, un passato che non passa, Torino, Einaudi, 1987. Ci permettiamo di rimandare, per un ulteriore aggiornamento, a Brunello Mantelli, Al magazzino della storia. Riflessioni sull’Historikerstreit e i suoi echi italiani, in «Quaderno di storia contemporanea», n. 4, 1988, pp. i i- 19 ed alla bibliografia ivi citata.

3. Il lavoro, ancora in corso di stampa, di Liliana Picciotto Fargion, Il libro della Memoria. Ricerca del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea sugli ebrei deportati dall’Italia 1943-45, Milano, Mursia, 1991, che conterrà l’elenco completo di tutti gli ebrei deportati dall’Italia, promette di essere lo studio più completo ed analitico in merito. Conserva la sua validità, inoltre, lo studio di Giuseppe Mayda, Ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita 1943-1945, Milano, Feltrinelli, 1978. Per il periodo precedente rimandiamo a Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961. Sulla deportazione ebraica dal Piemonte cfr. Alberto Cavaglion, La deportazione degli ebrei piemontesi: appunti per una storia, in Cereja, Mantelli, La deportazione …. cit., pp. 107125; inoltre Idem, Nella notte straniera, Cuneo, L’Arciere, 1981. Notizie intorno agli stretti legami fra gli ebrei di Casale Monferrato e quelli di Moncalvo si trovano in Paolo Desana, Deportati del Monferrato eliminati nei lager nazisti, dattiloscritto, s.d., presso l’autore, che ringraziamo per averci permesso di consultare questo suo studio e per la cortesia e disponibilità mostrata nel corso della nostra ricerca.

4. ACS, ministero dell’Intemo, fondo Direzione Generale della Polizia di Stato, Categoria G/I, Busta 76.

5. Ivi.

6. Alcune notizie sulla comunità ebraica di Casale Monferrato sono riportate nella relazione di Antonio De Angeli, Note storiche statistiche sulle persecuzioni subite dalla comunità Israelitica di Casale M., dattiloscritto, s.d., AISRAL, fondo Pansa, e nel fascicolo intitolato Ricerca sulla deportazione di Ebrei dall’Italia 1943-45, ad., conservato nell’Archivio del CeDEC, che ci ha cortesemente concesso di consultarlo, Un appassionato ricordo delle comunità di Casale Monferrato e Moncalvo si trova nel volume di Augusto Segre, Memorie di vita ebraica. Casale Monferrato-Roma­Gerusalemme 1918-1960, Roma, Bonacci, 1979, pp. 274-286.

7. Sulla comunità di Alessandria cfr. la relazione (non firmata) Persecuzioni subite dalla comunità di Alessandria nel periodo 1938-1945, s.d., AISRAL, fondo Pansa ed il fascicolo Ricerca sulla deportazione di ebrei dall’Italia 1943-1945. Sezione di Alessandria, s.d., Archivio CeDEC.

8. Pansa, Guerra…. cit., pp. 49-63.

9. Sulla comunità di Acqui cfr. il racconto Un savio Natano monferrino, in Augusto Monti, L’iniqua mercede, Milano, Ceschina, 1934, pp. 231-277 e Ricerca sulla deportazione degli Ebrei dall’Italia 1943-1945. Sezione di Acqui, s.d., Archivio CeDEC.

10. De Angeli, Note storiche statistiche, cit. Il dato sulla consistenza delle comunità alessandrine è citato in Simonetta Carolini (a cura di), Pericolosi nelle contingenze belliche, Roma, ANPPIA, 1987, p. 394.