L’insurrezione in provincia di Alessandria

L’insurrezione in provincia di Alessandria
di Daniele Borioli e Roberto Botta

da Quaderno di Storia Contemporanea, numero 16, 1985-1986, pagine 7-16

 

Questo intervento ha bisogno di una premessa: coloro che l’hanno redatto non sono esperti di storia militare. Ciò non per sostenere che le vicende insurrezionali possano essere affrontate unicamente sotto tale profilo; ma, evidentemente, la necessità di puntualizzare in questa sede, prima di tutto, i fatti, ci ha costretti ad un taglio cui non siamo abituati. Il che speriamo basti a giustificare l’approssimazione le lacune sicuramente presenti nella nostra esposizione.
La nostra frequentazione con problematiche più vicine alla storia sociale ci spinge, comunque, a formulare alcune domande: che cosa ha reso possibi­le, ad esempio, l’efficienza operativa di talune formazioni a fronte dell’evidente disorganizzazione di altre? Quali sono le ragioni profonde dell’estrema frammentazione politico‑ militare che contraddistingue il fronte partigiano nell’area centro‑ settentrionale della provincia? E, per contrasto, quali le ragioni profonde della sorprendente omogeneità garibaldina riscontrabile a Sud? In che misura gli esiti insurrezionali sono la risultante dell’intreccio, sempre diverso, tra i fattori militari e quelli politici, culturali e sociali? E, infine, al di là degli schieramenti formalizzati, in quale intensità e in quali forme si manifesta la partecipazione delle popolazioni al movimento insurrezionale?
Interrogativi che emergono indubbiamente già nella cronaca degli avvenimenti, e ai quali non ci è possibile per il momento dare risposta. Ma, a questo proposito, va dato atto agli organizzatori del convegno di aver saputo fornire, con le relazioni presentate nei due giorni precedenti, utili indicazioni problematiche e metodologiche, e soprattutto preziose per chi, come noi, dovrà continuare la ricerca in ambito locale.
In questo contesto, la ricostruzione attenta dell’evento insurrezione, lungi dal rappresentare una ricerca in sé compiuta, può diventare solida base per il lavoro futuro (1).

L’importanza della VI zona ligure nell’insurrezione alessandrina
Occorre spiegareinnanzitutto, perché mai si parla della VI Zona ligure in un convegno intitolato L’insurrezione in Piemonte. La ragione è semplice: data dal fatto che la VI Zona ligure sconfina ampiamente nel territorio alessandrino. Inoltre, ripercorrendo le dinamiche insurrezionali, si vede bene come la liberazione di alcune importanti città, quali Novi Ligure, Ovada e Tortona, sia opera esclusiva di forze partigiane direttamente dipendenti dai comandi liguri. In tal senso, i giorni della battaglia finale vedono compiutamente realizzarsi quello che, fin dal periodo immediatamente successivo all’armistizio, era stato il progetto comune dei centri dell’antifascismo ligure e del CLN provinciale di Alessandria: vale a dire la costituzione, nella fascia appenninica, di un esercito partigiano misto, ligure‑alessandrino.
Del resto, il legame organico tra la Resistenza ligure e quella alessandrina si risente in maniera netta anche nella vicenda insurrezionale della VII Zona piemontese. La particolare posizione geografica della nostra provincia, entroterra naturale della riviera ligure e cerniera verso la Valle Padana, fa sì che una quota rilevante del partigianato alessandrino venga impegnata a fermare, rallentare o, comunque, imbrigliare la ritirata tedesca, dopo la precoce liberazione del Genovesato, al punto che tale compito diventa uno degli obiettivi principali dell’evento‑ insurrezione.
Ancora una precisazione: questa comunicazione non riguarda tutto il territorio della provincia di Alessandria. Restano incluse, infatti, l’area ad Ovest del Casalese, che attraverso la Val Cerrina si estende sino ai confini della provincia di Torino, e una fetta dei Basso Monferrato, rispettivamente di competenza dell’VIII e IX Zona.

I piani insurrezionali e le forze partigiane

E opportuno, adesso, focalizzare gli obiettivi, tenendo sempre presente la già accennata ripartizione in due distinte zone operative.

Occupiamoci dapprima della VI Zona ligure, che abbraccia il Tortonese, il Novese e l’Ovadese. Punto di riferimento essenziale è il cosiddetto “ Piano A”, perfezionato dai comandi sin dall’inizio di aprile. Le direttive d’azione in esso previste sono, per grandi linee, le seguenti: 1) liberazione di Ovada, Novi Ligure e Tortona, capoluoghi di circondario, importanti politicamente ed economicamente (soprattutto nel Novese sono concentrate alcune delle più importanti industrie della provincia); 2) partecipazione alla liberazione di Genova, con il compito, a seconda dell’andamento delle operazioni, di tagliare la strada e catturare i nemici in ritirata, oppure di colpirli alle spalle, in caso di una loro resistenza a oltranza; 3) vigilanza sui principali impianti elettrici, stradali e ferroviari, onde evitare il previsto sabotaggio tedesco.

Le cose sono più complesse nella VII Zona piemontese, che inquadra la parte centro‑ settentrionale della provincia, con le limitazioni già dette, e, a Sud­Ovest, l’Acquese. Qui, la costituzione recente del comando e le difficoltà politico organizzative rallentano notevolmente il processo di coordinamento del fronte partigiano, al punto che la VII Zona, stando alla documentazione disponibile, non possiede un piano insurrezionale organico. Ciò nonostante, possiamo immaginare le seguenti direttive di massima: 1) liberazione di Alessandria, Acqui, Valenza e Casale Monferrato; 2) controllo dell’unica direttrice possibile di ritirata nemica della Liguria, lasciata scoperta dalle formazioni della VI Zona ligure: vale a dire quella che, attraverso l’Acquese, collega il Savonese con la piana alessandrina; 3) controllo dei punti di traghettamento del Po tra Casale Monferrato e Castelnuovo Scrivia, lungo il confine tra le province di Alessandria e Pavia.
Complessivamente, il quadro tracciato consente di individuare nella dorsale appenninica da una parte e nella linea del Po dall’altra i due punti cruciali di tensione e movimento, entro cui ricomprendere l’articolazione dello scontro, la cronologia degli avvenimenti, la modalità delle trattative.
Ma, quali erano le forze cui erano demandati i compiti sin qui delineati?

Nella VI Zona ligure la situazione appare più omogenea e decifrabile. Il Novese e il Tortonese sono già da tempo terreno d’azione della IV Divisione Garibaldi “Pinan‑Cichero”. Essa può contare sulla forza di un migliaio di uomini suddivisi in cinque brigate: tre di montagna, “Arzani”, “Oreste” e “ Po ‑Argo ”, attestate nelle valli Borbera, Curone e Scrivia, sino ai limiti della “ Grande Genova ”, e due di pianura, “ Val Lemme‑Capurro ” e 108′ “ Paolo Rossi ”, il cui raggio d’azione si estende dall’area collinare tra Novi Ligure e Gavi alla piana tra Tortona e Castelnuovo Scrivia.
L’Ovadese è invece di competenza della Divisione Garibaldi “Mingo”; anche in questo caso un migliaio di uomini suddivisi in cinque brigate: “ Buranello ”, “ Pio ”, “ Vecchia ”, “ Macchi ” e “ Olivieri ”, il cui confine di operazioni si estende, ad Ovest sino ai limiti dell’Acquese, a Nord sino all’area collinare compresa tra Roccagrimalda e Capriata d’Orba, a Sud e ad Est oltre il versante appenninico ligure, dall’area del Sassello alla Val Lemme.

Passando, ora, alla VII Zona piemontese, rimaniamo ancora nella parte meridionale della provincia, e precisamente nell’Acquese, dove è possibile riscontrare un altrettanto forte omogeneità garibaldina. Qui, opera la XVI Divisione Garibaldi “ Viganò ”. 1 suoi 800 uomini circa sono divisi in tre brigate, “Candida ”, “ Carlino ” e “ Gollo ”, e coprono un’area che va dalla fascia appenninica a Sud Est di Acqui, alla Val Bormida verso Nizza Monferrato, fino al limite Nord della strada che collega Acqui a Ovada.

Più confuso e frammentario è il quadro relativo a quella porzione di territorio che, dalla pianura alessandrina, si estende a Nord verso Casale Monferrato e ad Est verso i confini della provincia di Asti, caratterizzato dall’estrema frantumazione politica e militare delle forze partigiane. Si tratta spesso di piccoli nuclei locali, scarsamente coordinati fra loro, sui quali i comandi cercano di intervenire, imponendo un minimo di inquadramento formale e razionalità. Ne diamo un elenco sommario.

X Divisione Garibaldi “ Italia ”, 500 effettivi circa suddivisi in tre brigate, 181° “Piacibello”, “ Bigliani ” e 107 a “ Porro ”, attestate ai limiti della Val Cerrina e sulle colline del Basso Monferrato.

VIII Divisione GL “Braccini”, 400 uomini circa, suddivisi in quattro brigate, “Lenti”, “Pasino”, “Mirabelli” e “Boidi”, distribuite a macchia di Leopardo: nelle colline del Basso Monferrato e alla periferia di Alessandria, a Castellazzo Bormida e Mandrogne.

Divisione Matteotti “ Marengo ”, 400 effettivi all’incirca, suddivisi in tre brigate, “ Po ”, “ Val Bormida ” e “ Val Tanaro ”, che operano sparse tra Valenza e Sale, Castellazzo o addirittura nell’Astigiano, tra la Bormida e il Tanaro.
XI Divisione Autonoma “ Patria ”, circa 400 uomini, suddivisi in cinque brigate, XLI “ Val Cerrina ”, XLI bis, XLII, XLIII “ Talice ” e XLIV “ De Negri”, che costituiscono altrettante squadre territoriali, dislocate ora nella Val Cerrina, ora sulle colline tra Valenza e Casale Monferrato, ora, infine, tra Novi Ligure e Capriata d’Orba.

Esaminati i piani e le forze non resta, allora, che parlare della battaglia, mantenendo ancora la distinzione già fatta tra le due zone d’operazione.

La battaglia insurrezionale nella VI Zona ligure

Nella VI Zona ligure i movimenti insurrezionali sono già avviati alcuni giorni prima della data fatidica. Nel diario storico della 108 a Brigata “ Paolo Rossi”, alla data del 16 aprile, si legge: “I paesi controllati da noi sono in pieno nelle nostre mani ( … ) Tutto è pronto per l’insurrezione ”. Il 21 aprile, poi, il comando della VI Zona può annunciare che “ numerose località sono state liberate ” e che “ ultimamente è stata liberata Torriglia ”. Le forze partigiane, dunque, giungono alle soglie del 25 aprile disponendo di una vasta area di assoluto controllo: quasi tutta la Valle Borbera e la Valle Curone possono considerarsi, di fatto, zone libere e costituiscono un sicuro retroterra per gli sganciamenti verso Novi Ligure e Tortona e per la discesa su Genova. Nascono, qui, ospedali partigiani e campi di concentramento, destinati ad accogliere migliaia di prigionieri tedeschi.

Su questa situazione s’innesta l’insurrezione Genovese, che si ripercuote direttamente sui movimenti delle Divisioni “ Mingo ” e “ Pinan Cichero ”.

1 primi a muoversi sono i partigiani della “ Mingo ”. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile le tre brigate di montagna, “ Buranello ”, “ Pio ” e “ Vecchia ”, ricevono l’ordine di marciare verso il capoluogo ligure. La “ Buranello ”, dopo essere entrata vittoriosamente a Rossiglione, Campo Ligure e Masone, prosegue il suo cammino alla volta di Voltri, lasciando alcune squadre di mortai a presidiare il punto nevralgico della galleria del Turchino. Analogo è il percorso della “Vecchia ” che, dopo aver costretto alla resa alcuni gruppi nazi fascisti attestati nella zona del Sassello, si dirige su Voltri. Leggermente più complicato è il movimento della “ Pio ”: quasi tutta la giornata del 24 vede, infatti, gli uomini di questa formazione impegnati nel costringere alla resa il presidio tedesco di Voltaggio. Risolta la situazione verso le 19, la brigata riparte alla volta di Campomorone, dove entra combattendo intorno alla mezzanotte. Frattanto, alcuni distaccamenti sono lasciati a difesa dell’importante viadotto sul torrente Verde. Il ricongiungimento tra le due formazioni di montagna della “ Mingo ” avviene, nella mattinata del 26, tra Sestri Ponente e Sampierdarena, ultima sacca di resistenza germanica alla periferia nordoccidentale di Genova.

Nel frattempo, prima fra tutte le più importanti città della provincia di Alessandria, viene liberata Ovada. Qui, nella notte tra il 23 e il 24, entrano per prime in azione le SAP cittadine e anche in questo caso possiamo presumere che sia decisivo l’annuncio dell’insurrezione genovese. Contemporaneamente alla mobilitazione sappista si attua l’avvicinamento della Brigata “Macchi”, che si attesta alla periferia della città, bloccando le strade della zona compresa fra il Monte Colma e il Monte Lanzone. La “Olivieri” resta, invece, momentaneamente ferma sui colli di Roccagrimalda. L’isolamento della locale guarnigione tedesca è, comunque, pressoché totale. Alle 15 del 24 aprile il comandante delle SAP, Salvatore Pusateri, accompagnato dal parroco, don Fiorello Cavanna, entra nella sede del comando nemico per trattare la resa.

I nazisti si dicono disposti ad abbandonare la città a patto che venga loro garantita una scorta sino ad Alessandria: Pusateri rifiuta, ma accetta di prorogare i tempi della decisione alle ore 19. La situazione si complica, per i partigiani, all’annuncio che un treno blindato carico di tedeschi è in partenza da Campo Ligure alla volta di Ovada. Ciò induce gli uomini del CLN ad accettare un ulteriore rinvio dei termini della resa, alle ore 10 del giorno successivo. Il treno blindato entra alla stazione di Ovada verso mezzanotte e riparte un’ora dopo per Acqui. Tra le due e le 3 la guarnigione germanica abbandona di nascosto la città e alla mattina dei 25 aprile Ovada si risveglia libera, con alcuni distaccamenti della “Macchi” che sfilano per le strade salutati dalla popolazione. A partire dal 26, gruppi di questa stessa formazione si dirigono verso la zona di Capanne di Marcarolo, dove ancora per diversi giorni proseguono gli scontri con una colonna di circa 200 tedeschi. Intanto, la “Olivieri” si divide in due tronconi, il primo dei quali entra in Ovada, mentre l’altro raggiunge Sestri Ponente, per dare man forte ai compagni della “Buranello”, della “Pio” e della “Vecchia”.

Anche l’azione militare del Sud‑Est della provincia alessandrina gravita essenzialmente sulla dinamica insurrezionale del Genovesato. L’inizio della battaglia finale coincide con i primi movimenti di ritirata delle truppe tedesche dal capoluogo ligure. Abbiamo già detto che questo è il settore operativo della Divisione “Pinan Cichero”, i cui compiti insurrezionali più importanti sono: la convergenza su Genova, per la Brigata “ Oreste ”, la liberazione di Novi Ligure e Tortona, per le rimanenti quattro brigate, “Arzani”, “Val Lemme‑Capurro”, “Po­Argo” e 108a “Paolo Rossi”. L’ordine di puntare sui rispettivi obiettivi viene emanato dal comando generale nella mattinata del 24 aprile. La Brigata “Oreste ” si attesta con buona parte dei propri effettivi tra Pietrabissara e Busalla, dove si trovano concentrati circa 1500 nemici.

La posta in gioco è molto alta: bloccare il passaggio di Giovi al grosso delle truppe di Meinhold, comandante di piazza di Genova, e quindi controllare le principali arterie di comunicazione con la piana alessandrina. Nella giornata del 25 I’ “ Oreste ” scatena il proprio attacco: conquista combattendo Sarissola, Busalla, Ronco Scrivia e Isola del Cantone e cattura molti soldati germanici. In breve, quando alle 19,30 il generale Meinhold firma a Genova la resa per tutte le truppe al suoi comandi, restano nelle mani nemiche solo il presidio dei Giovi e la cintura di presidi trincerati di Savignone. L’offensiva si concentra su queste due ultime sacche di resistenza nei giorni successivi, sino alla resa definitiva, trattata e conclusa il 27 dal comandante della brigata, Gino Tasso (Tigre) e dal vice­comandante della divisione, Giovanni Battista Lazagna (Carlo). A questo punto la “ Olivieri ” può marciare compatta su Genova.

Passiamo ora a parlare del versante alessandrino delle operazioni della “Pinan‑Cichero ”; e cominciamo dalla liberazione di Tortona. Secondo i piani, questa doveva essere compito della Brigata “Po‑Argo”; e tuttavia i primi a entrare nella città sono gli uomini di un distaccamento dell’“ Arzani ”, fin dal pomeriggio del 24 aprile. I tedeschi e i fascisti rimasti non oppongono resistenza e si rinchiudono nelle caserme.

Contemporaneamente inizia la marcia d’avvicinamento della “PoArgo ”, che nel corso dello stesso giorno costringe alla resa il presidio di Viguzzolo, forte di circa 150 uomini. All’alba dei 25 i partigiani della formazione entrano in Tortona e attaccano la guarnigione tedesca, la quale, verso mezzogiorno, chiede di trattare la resa attraverso il CLN. Le trattative si svolgono nel pomeriggio, all’albergo “Italia ” di S. Sebastiano Curone; sono presenti: per i partigiani il vice‑comandante della divisione, Giovanni Battista Lazagna (Carlo) e il comandante della brigata, Natale Moretti (Ras); per i tedeschi il maggiore Sommerhuber. L’atto viene siglato alle 17, e alle 19 i nazisti consegnano le armi. Ma il tutto viene rimesso in discussione verso le 22, quando una colonna corazzata tedesca, forte di 200 armati provenienti da Alessandria, attacca un posto di blocco partigiano alla periferia della città. 1 combattimenti si protraggono per tutta la notte e la situazione viene risolta alla mattina del 26, grazie all’intervento di alcune squadre della 108a “ Paolo Rossi ”: una parte dei tedeschi si arrende, mentre gli altri fuggono verso Sale. Tortona è definitivamente libera e il CLN può insediarsi nel palazzo comunale. A partire al 27 la Brigata “ Po Argo ” si dispone per proteggere il territorio da eventuali infiltrazioni nemiche provenienti dal Vogherese.

Notevole è pure la mole di combattimenti sostenuta dalla Brigata “Arzani ”. Nella giornata del 25 aprile i distaccamenti della formazione sferrano l’attacco contro quasi tutti i presidi delle località poste a Sud e a Nord di Novi Ligure: Borghetto Borbera, Vignole Borbera, Serravalle Scrivia, Arquata Scrivia, Cassano Spinola, Villalvernia. Ad Arquata e Villalvernia la vittoria è completa, conclusa con l’arresto dei nemici; mentre le guarnigioni di Cassano e Borghetto riescono a defluire su Serravalle e Vignole, congiungendosi con i camerati colà stanziati. In questi due paesi gli scontri proseguono intensamente nei due giorni successivi, fino al pomeriggio del 27, quando viene conclusa la resa del presidio di Vignole Borbera, ultimo avamposto della resistenza nemica.
Molto più lineare appare la dinamica della liberazione di Novi Ligure. Le trattative cominciano già dal 24 aprile: grazie alla mediazione del parroco di Tassarolo, un piccolo centro sulle alture di Novi, avviene l’incontro tra il comandante del presidio germanico e il comandante della Brigata “Val Lemme­Capurro”, Piero Pesce (Veniero). 1 tedeschi accettano di evacuare Gavi ma si rifiutano di abbandonare immediatamente anche Novi, chiedendo due giorni di tempo per decidere. Il 25 alcune squadre della “Val Lemme-Capurro ” entrano in città, seguite di lì a poco da distaccamento dell’“ Arzani”. Durante la notte la guarnigione tedesca fugge. All’alba del 26 Novi è di fatto libera, presidiata dagli uomini delle due brigate garibaldine e da quelli della Brigata “ Martiri della Benedicta ”, che entrano in città dopo aver liberato Gavi.

A partire dal 28 aprile, praticamente tutto il versante alessandrino della Vi Zona ligure è liberato, i principali centri sono nelle mani dei rispettivi CLN, e l’unica sacca di resistenza nemica, peraltro marginale, si concentra nella zona di Capanne di Marcarolo, dove perdura la presenza di soldati tedeschi sbandati.


La battaglia insurrezionale nella VII Zona piemontese

Abbiamo già accennato alle difficoltà di comprendere a fondo i movimenti insurrezionali della VII Zona piemontese, in cui lo schieramento partigiano si presenta molto più fluido e frammentato, sia dal punto di vista politico sia da quello logistico‑organizzativo. La qual cosa si riflette necessariamente in sede di ricostruzione storica, stante una documentazione assai spesso lacunosa e contraddittoria, caratterizzata da buchi notevoli e, talvolta, da imbarazzanti sovrapposizioni: diari storici che rivendicano azioni improbabili, gruppi di combattenti che risultano contemporaneamente inquadrati in formazioni diverse. Su tutto emerge, comunque, l’impressione di una certa mancanza di coordinamento; anche se la nascita spontanea, alla vigilia dell’insurrezione, di numerose e piccole squadre partigiane locali, difficilmente inquadrabili e razionalizzabili dai comandi della Resistenza, costituisce pur sempre un fenomeno di indubbia rilevanza sociale, che sarebbe importante studiare meglio.

Per semplicità, cominciamo a parlare dell’Acquese, l’area che maggiormente richiama quel tratti di omogeneità riscontrati nella VI Zona ligure. Abbiamo già accennato come quest’estremo lembo sud‑occidentale della provincia di Alessandria sia zona d’operazioni, pressoché esclusiva, della XVI Divisione Garibaldi “Viganò”. Tutta la vicenda insurrezionale di questa zona è segnata in maniera decisiva dalla ritirata del Corpo d’Armata “ Lombardia ”. 1 documenti e le memorie parlano di circa 10. 000 uomini della Divisione “ San Marco ”, accompagnati da un numero imprecisato ma comunque cospicuo di forze tedesche, nonché da nuclei della “ X Mas ” e da numerosi gerarchi repubblichini della riviera ligure. Una massa imponente di armati, che rende arduo anche solo ipotizzare un attacco frontale da parte partigiana: ecco perché, in questo caso si privilegia in maniera quasi assoluta il momento della trattativa; ed ecco perché, esempio forse unico nell’insurrezione dell’Alessandrino, si arriva addirittura a chiedere l’intervento diretto degli alleati, e più precisamente dell’aviazione anglo­americana. Il deflusso del Corpo d’Armata “ Lombardia ”, dai centri rivieraschi del Savonese verso l’entroterra, comincia già dal giorno 23 aprile. Tra il 24 e il,25 le truppe nemiche, passando attraverso la strada del Sassello, giungono ad Acqui, con l’obiettivo di raggiungere poi Valenza e, qui, di traghettare il Po. Il piccolo presidio della città si è frattanto arreso agli uomini della Brigata “Carlino”; ma il vero problema è costituito dai forti contingenti di armati insediatisi nelle caserme cittadine. Nel pomeriggio dello stesso giorno, 25 aprile, grazie alla mediazione del Vescovo, mons. Giuseppe Dell’Omo, iniziano le trattative tra il comandante della “Viganò”, Pietro Minetti (Mancini) e i comandi nazi‑fascisti. Verso sera viene finalmente concordata una tregua di cinque giorni, entro i quali i nemici si impegnano ad abbandonare Acqui alla volta di Alessandria. Alle ore 10 del 26 il CLN prende possesso del Comune. Nella notte fra il 26 e il 27 comincia l’evacuazione in massa della “ San Marco ”. La tregua, però, vale solo per la città, per cui il comando della divisione ordina alle due brigate di collina, “Gollo” e “ Candida ” di attaccare le truppe in ritirata, al fine di disperderle parzialmente e impedire un concentramento di forze troppo massiccio nel capoluogo provinciale. A mezzogiorno dei 27 entra in scena l’aviazione alleata, che con i suoi caccia attacca a più riprese il lungo cordone di nemici in marcia. La “ Candida ”e la “ Gollo ” riescono a catturare più di mille prigionieri; tuttavia, quasi tutta la Divisione “ San Marco ” riesce a filtrare verso Alessandria, avviandosi all’ultima tappa del proprio cammino.
Con la liberazione dell’Acquese si chiude definitivamente il capitolo relativo alla parte meridionale della provincia, di fatto completamente sgombro a partire dal 28 di aprile. Resta ora da raccontare la dinamica insurrezionale nella parte centro ‑settentrionale della VII Zona, in cui si gioca in maniera decisiva la vicenda del Corpo d’Armata “ Lombardia ”. Anche qui i riflessi dell’insurrezione ligure sono determinanti, pur risentendosi con un leggero ritardo rispetto al Sud.
La liberazione di Casale Monferrato è in gran parte opera delle SAP cittadine, entrate in azione nella tarda serata del 24 aprile. Durante la mattina del 25 tutti i principali edifici pubblici sono occupati dai partigiani e a mezzogiorno, grazie alla mediazione del vescovo, mons. Angrisani, cominciano le trattative tra il CLN cittadino e il comandante del presidio germanico, maggiore Mayer. Viene adottata una soluzione interlocutoria: i tedeschi non si arrendono, ma si impegnano a non sabotare nessuno degli impianti della città; in cambio i partigiani garantiscono che la sede del presidio non verrà attaccata. Nell’arco di quella stessa giornata convergono su Casale gli uomini della X Divisione Garibaldi “Italia ”, brigate 181 a “ Piacibello ” e “ Bigliani ”, quelli dell’XI Divisione Autonoma “Patria”, 41a Brigata “Val Cerrina”, nonché reparti della Divisione Matteotti “ Italo Rossi ”, della Il Divisione Autonoma “Langhe” e della V Divisione Autonoma “Monferrato”. La situazione resta sostanzialmente statica per un paio di giorni, nei quali l’unica attività di qualche rilievo pare essere l’attacco capillare ai minuscoli presidi tedeschi insediati nei vari paesini che circondano il capoluogo monferrino: in quest’opera si distinguono particolarmente i partigiani della Divisione “Patria”. Mayer, in realtà, temporeggia perché spera di potersi unire con i suoi uomini alla ritirata del Corpo d’Armata “Lombardia”; una speranza che sembra prendere fisionomia il 27, quando si diffonde la. voce che grossi reparti tedeschi chiedono libero transito per la città. Ma la notizia viene successivamente smentita e, nella notte tra il 27 e il 28, il maggiore Mayer accetta di arrendersi; fatto importante: il ponte ferroviario sul Po passa sotto il controllo partigiano.

La guerra si concentra ormai tra Alessandria e Valenza, fino al confini con la provincia di Pavia. Le truppe della Divisione “ San Marco ”, inquadrate nel Corpo d’Armata “Lombardia”, affluiscono continuamente nel capoluogo provinciale, unitamente ai nutriti contingenti tedeschi provenienti dall’Astigiano, già libero da qualche giorno. Si tratta di un complesso di forze poco inferiore ai 30.000 uomini, certamente difficile da gestire. L’obiettivo è, evidentemente, quello di passare il Po per proseguire poi in Lombardia verso la Valtellina. Diciamo, allora, che la liberazione delle due ultime importanti città della nostra provincia si identifica, di fatto, con la resa dell’imponente forza tedesca, più volte ricordata. Certo, anche qui non va dimenticato il contributo delle SAP cittadine, e così pure non vanno dimenticati i combattimenti sostenuti dalle varie formazioni partigiane: pensiamo all’opera capillare svolta, nei più diversi punti della piana alessandrina, dagli uomini della Divisione Matteotti “Marengo”; oppure allo scontro cruento di Castelletto Monferrato, durato dal 25 al 27 di aprile, che costa cinque morti alla Brigata “ Pasino ” dell’VIII Divisione “ Braccini ”. Tuttavia, lo spazio a nostra disposizione non ci concede di raccontarli tutti dettagliatamente.

L’importanza strategica dei traghetti del Po, dislocati intorno a Valenza, non è certo sfuggita ai comandi della Resistenza: tant’è che, già a partire dal 25 aprile, alcune squadre della 108a Brigata “Paolo Rossi” si dedicano ad attaccare e sconfiggere i presidi tedeschi attestati nella fascia di località fluviali a Est di Valenza: Bassignana, Mugarone, Alluvioni Cambiò, Isola S. Antonio, Molino de’ Torti. Lo scopo è quello di circoscrivere quanto più possibile le vie di sconfinamento in Lombardia dei nemici, costringendoli in una sacca obbligata, per tentare, quindi, di strappare una resa assai prestigiosa dal punto di vista militare e politico, possibilmente prima dell’intervento degli alleati. Il giorno 26 viene fatto saltare il ponte di barche sul fiume situato a Valenza; e alle ore 15 di quello stesso pomeriggio iniziano, nel Duomo di Alessandria, le trattative con il comandante di piazza, colonnello Becker, e altri quattro ufficiali germanici. I due rappresentanti del CLN, Fadda e Girosi, accettano la proposta di proroga alle ore 17 del giorno successivo, anche per dare modo ai gruppi partigiani di entrare in città. Cosa che avviene puntualmente nella mattina del 27, quando arrivano nel capoluogo i gruppi della Divisione Matteotti “Marengo”, dell’VIII Divisione GL “Braccini”, della V e VII Divisione Autonoma “ Monferrato ”, della XV Divisione Autonoma “Alessandria”, della XI Divisione Autonoma “Patria”, nonché, al completo, la 107′ Brigata “ Porro ” della X Divisione Garibaldi “ Italia ”, con alcuni nuclei dell’VIII Divisione Garibaldi “ Asti ”. Nella seduta pomeridiana il colonnello Becker sigla un accordo, secondo cui “ Tutti i fascisti hanno lasciato la città, il vostro comitato può prenderla in consegna per stabilirvi lo stato di diritto. In Alessandria sosta ancora un reparto della “ San Marco ” che partirà entro la sera. Il mio presidio se ne andrà seguendo gli ultimi reparti germanici in transito ”. Il 28 di aprile resta, però, ancora aperta la questione del Corpo d’Armata “Lombardia ”: il colonnello Becker temporeggia, e altrettanto fa il generale Hildebrandt, ufficiale di collegamento tra i reparti tedeschi e fascisti. La prima iniziativa di resa viene presa autonomamente, verso le 14, dal generale Farina, comandante della Divisione “ San Marco ”, mentre sempre più concretamente si profila la minaccia di un bombardamento alleato su Alessandria. L’accordo prevede che tutte le truppe fasciste in marcia a Sud della città vengano fatte affluire alla Cittadella e, viceversa, che quelle in marcia a Nord siano fatte convergere su Valenza, nei locali delle scuole. Nel frattempo, le redini della trattativa sono passate nelle mani di Giuseppe Logno, nuovo presidente del CLN, inviato da Torino. La notizia della resa della “ San Marco ” affretta i tempi della decisione di Hildebrandt, che, nel corso di quella stessa giornata, sigla la propria sconfitta alla presenza del nuovo prefetto, Livio Pivano. Resta ancora da risolvere un ultimo inghippo: l’atto, alla lettera, riguarda solo le truppe fasciste e il presidio alessandrino, e per di più esso non è stato sottoscritto dal comandante generale del Corpo d’Armata, generale Jahn. Questi si trova a Valenza, dove viene contattato, nelle prime ore della serata, da Pivano e Girosi. Si stabilisce una tregua sino alle ore 12 del giorno successivo, 29 aprile. L’epilogo è vicino; alle ore 14 i rappresentanti del CLN pongono l’ultimatum: o la resa entro un quarto d’ora o le truppe tedesche verranno attaccate dalle squadre partigiane, coadiuvate dall’artiglieria americana. Jahn cede e firma: “ le forze armate tedesche in Valenza si arrendono onorevolmente sul posto sull’ordine del Gen. Jahn. Agli ufficiali è consentito l’onore delle armi personali; è riservato il trattamento di prigionieri di guerra secondo le norme del diritto internazionale e le truppe tedesche saranno consegnate alle truppe alleate al loro giurigere”.

Valenza partigiana saluta la liberazione completa e definitiva di tutta la provincia.

 

( * ) Questo testo è stato presentato come comunicazione al Convegno di studi storici “L’insurrezione in Piemonte”, tenuto a Torino nell’aprile 1985, e appare nella stessa forma in cui è stato letto.

(1) Per l’analisi degli avvenimenti insurrezionali abbiamo utilizzato volumi editi e documenti d’archivio. 1 principali testi cui facciamo riferimento sono i seguenti: S. FAVRETTO, Casale partigiana, Casale, Libertas Club, 1977; G. GIMELLI, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (nuova edizione), 1985; E.L. GUIDI, Valenza antifascista e partigiana, Valenza, Edizioni ANPI, 1981; G.B. LAZAGNA, Ponte rotto, Milano, Sapere, 1972; C. LEVRERI, Valenza partigiana. La liberazione, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1980; P. MORETTI ‑ C. SIRI, Il movimento di Liberazione nell’Acquese, Cuneo, l’Arciere, 1984; 0. Mussio, Tra lo Scrivia e il Po. Uomini ed episodi della Resistenza, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1982; 0. Mussio, Una brigata di pianura. Cronaca della 108a Brigata Garibaldi “ Paolo Rossi ” Castelnuovo Scrivia, ANPI, 1976; G. P. PANSA, Guerra partigiana tra Genova e il Po. La resistenza in provincia di Alessandria, Bari, Laterza, 1967; W. VALSESIA, La Resistenza in provincia di Alessandria, Torino, Turingraf, 1981.

Per quel che riguarda i documenti d’archivio, abbiamo consultato soprattutto le carte delle Divisioni Garibaldi “ Mingo ” e “ Pinan‑Cichero ”; utili informazioni abbiamo tratto anche da altri piccoli fondi riguardanti formazioni Autonome e Matteotti. Tutto il materiale consultato è conservato presso gli Archivi degli Istituti storici della Resistenza di Genova, Torino e Milano. Parte dei documenti è depositata, in copia, presso l’Istituto di Alessandria. Per una descrizione dei fondi si può consultare il volume Guida agli Archivi della Resistenza, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, 1983, in particolare le pp. 129, 142, 555‑557.

Per un dettaglio più preciso sui singoli documenti utilizzati si rimanda al testo che comparirà nei volume degli atti dei convegno.